23 lug 2012

4.2.1.2 Siegfried, Atto II, Scena I - Alberich e il Viandante - schermaglie fra perdenti.


Siamo nel folto di una fitta foresta, e scorgiamo sul fondo della scena la parte superiore dell’apertura di una caverna: lì Fafner giace e possiedecome proclamerà tra poco lui stesso, nella più perfetta materializzazione del concetto di ignavia. La sua presenza è confermata dai rintocchi dei timpani (DO-FA#) sul caratteristico ritmo dei Giganti, e il pesante e irregolare ansimare del suo sonno dall’oscillare del contrabbasso-tuba fra il SOLb e il DO gravi (sotto il rigo) con due respiri lunghi (5 semiminime sul SOLb e una sul DO) e due più corti (2 semiminime sul SOLb e una sul DO) per acquetarsi apparentemente su 6 semiminime di SOLb. I due motivi sono, come ben si vede, i tritoni che hanno letteralmente inquinato la personalità del gigante, persino quando è addormentato!

Alberich giace acquattato sotto una roccia, e l’esasperante inciso del suo annientamento continua ad assillarci per ben 17 volte (!) anche dopo che il nano ha cominciato la sua esternazione, sottolineandone l’attesa snervante(1) dell’arrivo di qualcuno che finalmente tolga Fafner di mezzo. E qualcuno in effetti sembra avvicinarsi, preceduto da un leggero turbine e da un bagliore azzurrino ma soprattutto – in orchestra – dall’inconfondibile scalpitìo delle Valchirie a contrappuntare un motivo esposto da fagotti ed archi bassi. Di che si tratta? Ma del tema dell’angoscia di Wotan, che aveva fatto la sua apparizione durante il drammatico colloquio del dio con Brünnhilde, nel second’atto della Walküre, allorquando il suo fallimento esistenziale gli era divenuto manifesto e irrimediabile. Fra non molto(2) riudiremo ancora questi due motivi, che ben rappresentano il vagare angosciato di colui che era stato un tempo l’essere più potente dell’universo.

Ma qui, oltre a quella di Wotan, c’è anche l’angoscia di Alberich: “Chi si avvicina a cavallo, brillando nell’ombra?” si chiede il nano, che spera e allo stesso tempo teme trattarsi del giustiziere del drago. Il chiarore svanisce così come era apparso, torna notte fonda e ad Alberich non resta – per due volte – che imprecare e maledire, come ci testimonia la doppia esposizione del motivo della maledizione. Ma ecco che una figura esce allo scoperto e il chiarore lunare, penetrando in uno squarcio fra le nuvole, ne illumina il volto. È Wotan che si presenta, adocchiando Alberich. La musica che lo accompagna ha i tratti inconfondibili dell’arcano e del solenne e sfocia - precisamente nella canonica tonalità di REb, perché proprio non esistano dubbi sull’identità del nuovo arrivato - nell’incipit del tema del Walhall.

Alberich è, a dir poco, irritato (in effetti un motivo che sottolinea le sue parole “Vattene, ladro svergognato!” è catalogato come tema dell’irritazione: tre semiminime, DO-SI-SIb, seguite da tre crome, LA-LAb-SOL, sempre discendenti, e appoggio finale sul FA#) e invita con le cattive Wotan ad andarsene. Ma il dio, anche nelle avversità, non perde il suo humor e ribatte: “Che fai qui, elfo scuro? Fai per caso la guardia a Fafner?” E come deve apparire sarcastica e offensiva questa domanda, se cantata sulla seconda sezione del tema dell’anello!

Alberich sbotta: già troppe sciagure hanno riempito questo luogo, per causa tua. Che vai cercando ancora? Vattene subito di qua! Le sue imprecazioni – di un individuo esasperato e rancoroso - si muovono su ondate sonore ascendenti e discendenti, contrappuntate da veloci semicrome di violini e strumentini. E il tema della sua irritazione ancora sbotta in clarinetto basso, fagotti e archi bassi.

L’austero e arcano motivo del Viandante supporta la pacata risposta di Wotan: “Zu schauen kam ich, nicht zu schaffen...“ son qui per osservare, non per agire(3).

Ma Alberich – come dargli torto! – non si fida di questa apparente neutralità manifestata da chi già una volta lo aveva buggerato, derubandolo dell’anello e del tesoro. Sempre declamando frasi caratterizzate da ampi intervalli, il nano avverte Wotan: guarda che non sono più ingenuo come quando mi ingannasti, e ben conosco le tue arti (prima i soli archi, poi anche i fagotti ne sottolineano la rabbia con un motivo discendente che ricorda quello del malcontento di Wotan, ma sappiamo bene come fra le personalità dei due ci siano, accanto a enormi differenze, anche grandi affinità…)

Ed ora il nano rinfaccia a Wotan i suoi passati misfatti. Con il mio tesoro hai pagato i Giganti per la costruzione del tuo castello (e l’incipit del tema del Walhall si ode – dolce – nei corni,  sempre in REb). Adesso fa capolino, in corni, fagotti e archi bassi, il tema del Patto (la cui forma piena viene subito riesposta, solennemente, da corni e fagotti) poiché Alberich ne ricorda il valore universale, scolpito in rune sulla lancia del dio; e il tema delle Rune, che avevamo udito dalla bocca di Wotan durante la tenzone di conoscenza con Mime, supporta – ora un semitono più alto, quasi ad enfatizzarne l’importanza! - le parole di Alberich “des Runen wahrt noch heut' deines Speeres herrischer Schaft”. C’è di più: sul tema del Patto coi Giganti, Alberich gira il coltello nella ferita di Wotan, facendogli presente che ciò che fu dato ai Giganti come pagamento, ora non può essere loro tolto, pena la perdita totale di credibilità delle leggi universali. Questo concetto viene sottolineato con una serie di ripetizioni di spezzoni del tema del Patto, chiusa nientemeno che da un accenno al tema del Trionfo di Alberich (che qui ha buon gioco ad inchiodare Wotan alle sue responsabilità).

Il quale Wotan reagisce con calma mista ad arroganza, facendo presente ad Alberich che i Patti incisi sulla sua lancia non vincolano il dio a lui, che invece fu sottomesso con la forza di quello scettro (di cui gli archi bassi ripetono il tema). E quella forza ancora Wotan è pronto ad impiegare (!)

Il che non fa che aumentare l’astio di Alberich, come ci testimonia il tema dell’annientamento che ricompare ossessionante (21 volte!) ad accompagnare la sua nuova filippica. Dapprima il nano ricorda a Wotan che il possessore di anello e tesoro è inevitabilmente votato a soccombere alla sua maledizione (il cui tema è esposto dai corni); ne irride poi l’angoscioso dubbio su chi li possiederà dopo Fafner (il tema dell’anello guizza furtivamente nei fagotti); infine predice a Wotan ciò che avverrà non appena lui, il forgiatore dell’anello, se lo rimetterà al dito: con le sue schiere infernali invaderà le alture degli dei e dominerà il mondo! Quest’ultimo proclama (“der Welt walte dann ich!“) è preceduto dal grido di dominazione e seguito dal tema del trionfo del Nibelungo, quasi sulle stesse note con cui il nano aveva ammonito Wotan nel Rheingold(4), poco prima di essere catturato.

Wotan non perde la calma: sì, conosco bene le tue intenzioni, risponde, e non mi creano preoccupazione alcuna; l’anello sarà di chi se lo conquisterà. Frase tanto lapalissiana quanto sibillina, che Alberich rintuzza da par suo: tu conti su figli d’eroi in cui scorre il tuo sangue (il tema della spada si alza nei corni, in FA) e su un ragazzo cresciuto perché compia l’impresa che a te è proibita! Ha colto nel segno, il nano, come dimostra l’alzarsi doloroso, in tutti gli archi, del motivo del malcontento di Wotan!

Il quale – su un declamato quasi senza accompagnamento – comincia a mettere in atto la sua strategia (divide-et-impera) consistente nel mettere uno contro l’altro (ma ce n’era proprio bisogno, stanti i loro rapporti?) i due fratelli nibelungici; ammonisce quindi Alberich: è da tuo fratello Mime che devi guardarti; lui condurrà qui un ragazzo che nulla sa dell’anello, ma che glielo deve procurare (ammazzando Fafner).

Così tu terresti le mani lontano dal tesoro? si incuriosisce Alberich.

Colui che amo è padrone delle sue azioni, replica Wotan, supportato dal tema della Libertà, che Siegfried aveva esposto nella prima scena del dramma.

Quindi me la vedrò solo con Mime? domanda ansioso Alberich.

Oltre a te, lui solo desidera quell’oro, replica Wotan.

E non sarei io a conquistarlo? chiede ancora il nano.

Wotan: un ragazzo si avvicina per liberare il tesoro, che due Nibelunghi si contendono: Fafner morirà… e chi arrafferà l’anello, se lo sarà guadagnato.

Diciamolo francamente, qui Wotan sta davvero menando il torrone, ed allora… Wagner si inventa un gran colpo di teatro.

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Note:
1. Se immaginiamo che Alberich abbia seguito le mosse di Fafner fin dal Rheingold, da quanto tempo è lì nei paraggi ad osservare la tana del drago? Dopo la conclusione della vigilia, sappiamo per certo che Wotan ha vissuto per anni nella foresta con Siegmund, prima che costui, da adulto, ritrovasse Sieglinde e la mettesse incinta di Siegfried, il quale ora avrà come minimo almeno 15 anni. Insomma, il povero Alberich dev’essere lì da alcuni decenni! 
2. Precisamente nel Preludio dell’atto terzo.  
3. Wotan in realtà agisce, e come! Dapprima ha portato scompiglio nell’esistenza di Mime, adesso mette ansia – come già non ne avesse abbastanza di suo! – in quella di Alberich. Vedremo tra poco come metterà i due fratelli nibelungici l’uno contro l’altro, con l’evidente intento di favorire Siegfried.
4. C’è una chiara somiglianza fra l’atteggiamento che Alberich tiene qui e quello che abbiamo conosciuto nel Rheingold (Scena III, prima della cattura): come allora, lui continua a sciorinare faraonici e minacciosi piani di conquista del potere supremo, di invasione del Walhall e di schiavizzazione dei suoi inquilini. Insomma, quella di Alberich è una vera ossessione esistenziale.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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