Siamo
nel folto di una fitta foresta, e scorgiamo sul fondo della scena la parte
superiore dell’apertura di una caverna: lì Fafner giace e possiede, come proclamerà tra poco lui stesso, nella più perfetta materializzazione del concetto di ignavia. La sua
presenza è confermata dai rintocchi dei timpani (DO-FA#) sul caratteristico
ritmo dei Giganti, e il pesante e irregolare ansimare del suo sonno
dall’oscillare del contrabbasso-tuba fra il SOLb e il DO gravi (sotto il rigo)
con due respiri lunghi (5 semiminime sul SOLb e una sul DO) e due più corti (2
semiminime sul SOLb e una sul DO) per acquetarsi apparentemente su 6 semiminime
di SOLb. I due motivi sono, come ben si vede, i tritoni che hanno letteralmente inquinato la personalità del
gigante, persino quando è addormentato!
Alberich
giace acquattato sotto una roccia, e l’esasperante inciso del suo annientamento continua ad assillarci per
ben 17 volte (!) anche dopo che il nano ha cominciato la sua esternazione,
sottolineandone l’attesa snervante(1) dell’arrivo di qualcuno che finalmente
tolga Fafner di mezzo. E qualcuno in effetti sembra avvicinarsi, preceduto da
un leggero turbine e da un bagliore azzurrino ma soprattutto – in orchestra –
dall’inconfondibile scalpitìo delle Valchirie a contrappuntare un motivo
esposto da fagotti ed archi bassi. Di che si tratta? Ma del tema dell’angoscia di Wotan, che aveva fatto la
sua apparizione durante il drammatico colloquio del dio con Brünnhilde, nel
second’atto della Walküre, allorquando il suo fallimento esistenziale gli era
divenuto manifesto e irrimediabile. Fra non molto(2) riudiremo ancora questi
due motivi, che ben rappresentano il vagare angosciato di colui che era stato
un tempo l’essere più potente dell’universo.
Ma
qui, oltre a quella di Wotan, c’è anche l’angoscia di Alberich: “Chi si
avvicina a cavallo, brillando nell’ombra?” si chiede il nano, che spera e allo
stesso tempo teme trattarsi del giustiziere del drago. Il chiarore svanisce
così come era apparso, torna notte fonda e ad Alberich non resta – per due
volte – che imprecare e maledire, come ci testimonia la doppia esposizione del
motivo della maledizione. Ma ecco che una figura esce allo scoperto e il
chiarore lunare, penetrando in uno squarcio fra le nuvole, ne illumina il
volto. È Wotan che si presenta, adocchiando Alberich. La musica che lo
accompagna ha i tratti inconfondibili dell’arcano e del solenne e sfocia -
precisamente nella canonica tonalità di REb, perché proprio non esistano dubbi
sull’identità del nuovo arrivato - nell’incipit del tema del Walhall.
Alberich
è, a dir poco, irritato (in effetti un motivo che sottolinea le sue parole
“Vattene, ladro svergognato!” è catalogato come tema dell’irritazione: tre semiminime, DO-SI-SIb, seguite da tre crome,
LA-LAb-SOL, sempre discendenti, e appoggio finale sul FA#) e invita con le
cattive Wotan ad andarsene. Ma il dio, anche nelle avversità, non perde il suo humor e ribatte: “Che fai qui, elfo
scuro? Fai per caso la guardia a Fafner?” E come deve apparire sarcastica e
offensiva questa domanda, se cantata sulla seconda sezione del tema dell’anello!
Alberich
sbotta: già troppe sciagure hanno riempito questo luogo, per causa tua. Che vai
cercando ancora? Vattene subito di qua! Le sue imprecazioni – di un individuo
esasperato e rancoroso - si muovono su ondate sonore ascendenti e discendenti,
contrappuntate da veloci semicrome di violini e strumentini. E il tema della
sua irritazione ancora sbotta in clarinetto basso, fagotti e archi bassi.
L’austero
e arcano motivo del Viandante supporta la pacata risposta di Wotan: “Zu schauen kam ich, nicht zu schaffen...“ son qui
per osservare, non per agire(3).
Ma Alberich – come dargli torto! – non si fida di questa apparente
neutralità manifestata da chi già una volta lo aveva buggerato, derubandolo
dell’anello e del tesoro. Sempre declamando frasi caratterizzate da ampi
intervalli, il nano avverte Wotan: guarda che non sono più ingenuo come quando
mi ingannasti, e ben conosco le tue arti (prima i soli archi, poi anche i
fagotti ne sottolineano la rabbia con un motivo discendente che ricorda quello
del malcontento di Wotan, ma sappiamo bene come fra le personalità dei due ci
siano, accanto a enormi differenze, anche grandi affinità…)
Ed ora il nano rinfaccia a Wotan i suoi passati misfatti. Con il
mio tesoro hai pagato i Giganti per la costruzione del tuo castello (e
l’incipit del tema del Walhall si ode – dolce
– nei corni, sempre in REb). Adesso fa
capolino, in corni, fagotti e archi bassi, il tema del Patto (la cui forma
piena viene subito riesposta, solennemente, da corni e fagotti) poiché Alberich
ne ricorda il valore universale, scolpito in rune sulla lancia del dio; e il
tema delle Rune, che avevamo udito dalla bocca di Wotan durante la tenzone di
conoscenza con Mime, supporta – ora un semitono più alto, quasi ad enfatizzarne
l’importanza! - le parole di Alberich “des Runen wahrt noch heut' deines
Speeres herrischer Schaft”. C’è di più: sul tema del Patto coi Giganti,
Alberich gira il coltello nella ferita di Wotan, facendogli presente che ciò
che fu dato ai Giganti come pagamento, ora non può essere loro tolto, pena la
perdita totale di credibilità delle leggi universali. Questo concetto viene
sottolineato con una serie di ripetizioni di spezzoni del tema del Patto,
chiusa nientemeno che da un accenno al tema del Trionfo di Alberich (che qui ha buon gioco ad inchiodare Wotan alle
sue responsabilità).
Il quale Wotan reagisce con calma mista ad arroganza, facendo
presente ad Alberich che i Patti incisi sulla sua lancia non vincolano il dio a
lui, che invece fu sottomesso con la forza di quello scettro (di cui gli archi
bassi ripetono il tema). E quella forza ancora Wotan è pronto ad impiegare (!)
Il che non fa che aumentare l’astio di Alberich, come ci
testimonia il tema dell’annientamento che ricompare ossessionante (21 volte!)
ad accompagnare la sua nuova filippica. Dapprima il nano ricorda a Wotan che il
possessore di anello e tesoro è inevitabilmente votato a soccombere alla sua
maledizione (il cui tema è esposto dai corni); ne irride poi l’angoscioso
dubbio su chi li possiederà dopo Fafner (il tema dell’anello guizza
furtivamente nei fagotti); infine predice a Wotan ciò che avverrà non appena
lui, il forgiatore dell’anello, se lo rimetterà al dito: con le sue schiere
infernali invaderà le alture degli dei e dominerà il mondo! Quest’ultimo
proclama (“der Welt walte dann ich!“) è preceduto dal grido di dominazione e seguito dal tema del trionfo del Nibelungo, quasi sulle stesse note con cui il nano
aveva ammonito Wotan nel Rheingold(4), poco prima di essere catturato.
Wotan non perde la calma: sì, conosco bene le tue intenzioni,
risponde, e non mi creano preoccupazione alcuna; l’anello sarà di chi se lo
conquisterà. Frase tanto lapalissiana quanto sibillina, che Alberich rintuzza
da par suo: tu conti su figli d’eroi in cui scorre il tuo sangue (il tema della
spada si alza nei corni, in FA) e su un ragazzo cresciuto perché compia
l’impresa che a te è proibita! Ha colto nel segno, il nano, come dimostra
l’alzarsi doloroso, in tutti gli archi, del motivo del malcontento di Wotan!
Il quale – su un declamato quasi senza accompagnamento – comincia
a mettere in atto la sua strategia (divide-et-impera)
consistente nel mettere uno contro l’altro (ma ce n’era proprio bisogno, stanti
i loro rapporti?) i due fratelli nibelungici; ammonisce quindi Alberich: è da
tuo fratello Mime che devi guardarti; lui condurrà qui un ragazzo che nulla sa
dell’anello, ma che glielo deve procurare (ammazzando Fafner).
Così tu terresti le mani lontano dal tesoro? si incuriosisce
Alberich.
Colui che amo è padrone delle sue azioni, replica Wotan,
supportato dal tema della Libertà,
che Siegfried aveva esposto nella prima scena del dramma.
Quindi me la vedrò solo con Mime? domanda ansioso Alberich.
Oltre a te, lui solo desidera quell’oro, replica Wotan.
E non sarei io a conquistarlo? chiede ancora il nano.
Wotan: un ragazzo si avvicina per liberare il tesoro, che due
Nibelunghi si contendono: Fafner morirà… e chi arrafferà l’anello, se lo sarà
guadagnato.
Diciamolo francamente, qui Wotan sta davvero menando il torrone,
ed allora… Wagner si inventa un gran colpo di teatro.
___
Note:
1.
Se
immaginiamo che Alberich abbia seguito le mosse di Fafner fin dal Rheingold, da
quanto tempo è lì nei paraggi ad osservare la tana del drago? Dopo la conclusione
della vigilia, sappiamo per certo che
Wotan ha vissuto per anni nella foresta con Siegmund, prima che costui, da
adulto, ritrovasse Sieglinde e la mettesse incinta di Siegfried, il quale ora
avrà come minimo almeno 15 anni.
Insomma, il povero Alberich dev’essere lì da alcuni decenni!
2. Precisamente nel Preludio
dell’atto terzo.
3.
Wotan in realtà agisce, e come! Dapprima ha portato scompiglio nell’esistenza
di Mime, adesso mette ansia – come già non ne avesse abbastanza di suo! – in
quella di Alberich. Vedremo tra poco come metterà i due fratelli nibelungici
l’uno contro l’altro, con l’evidente intento di favorire Siegfried.
4. C’è una chiara somiglianza fra l’atteggiamento che Alberich
tiene qui e quello che abbiamo conosciuto nel Rheingold (Scena III, prima della
cattura): come allora, lui continua a sciorinare faraonici e minacciosi piani
di conquista del potere supremo, di invasione del Walhall e di schiavizzazione
dei suoi inquilini. Insomma, quella di Alberich è una vera ossessione esistenziale.
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