23 mag 2013

5.0.1 Götterdämmerung – Premessa.


Si è già ricordato più volte che Götterdämmerung era nata (col titolo di Siegfrieds Tod) nella mente di Wagner come una “grande opera eroica” (per non dire - tout court - un Grand Opéra)(1). Grandissimo merito del nostro fu di averne saputo cambiare “in corsa” obiettivi e significato, senza minarne in alcun modo le macro-strutture, ma ri-adattandole alla nuova concezione, filosofica e artistica, che aveva nel frattempo maturato. Oggi ci è davvero difficile immaginare cosa sarebbe quest’opera, se fosse rimasta isolata, come Lohengrin, o Tannhäuser, o Holländer; e come noi l’ascolteremmo, e quali significati avrebbe per noi, quali emozioni ci darebbe (o meglio: ci negherebbe!)

Quando ascoltiamo dalle Norne il racconto dei “tempi remoti”, ci emozioniamo perché questi tempi li abbiamo vissuti noi stessi da spettatori, viceversa quel racconto ci lascerebbe quanto meno perplessi, se non proprio indifferenti…

Quando incontriamo Siegfried e Brünnhilde “adulti”, con la loro personalità matura, restiamo stupefatti, proprio come quando ci capita di rivedere dopo alcuni anni delle persone che avevamo visto crescere, da ragazzi; nulla di tutto ciò accade quando ci troviamo di fronte direttamente persone adulte, sconociute fino a poco prima…

Alberich che invita il figlio Hagen a dedicarsi al recupero dell’anello ci apparirebbe come uno psicopatico malato, se non conoscessimo tutto l’insieme e l’intreccio dei fatti, ma soprattutto dei sentimenti, che ne hanno caratterizzato (e sconvolto) l’esistenza…

Certi atteggiamenti di Siegfried ci sembrerebbero gratuiti o sciocchi, se non fossimo stati testimoni diretti della sua adolescenza, delle condizioni in cui il ragazzo diventò uomo e di come si fece largo nella storia dell’umanità…

Sono i ricordi diretti della Brünnhilde Valchiria, della sua scoperta dell’amore e della sua giustificazione, e poi del suo risveglio e del suo “divenire donna”, che ci fanno commuovere fino alle lacrime, quando ne ascoltiamo la conclusiva orazione…

Il Wotan menzionato da Waltraute e intravisto – solo in didascalìa – nel Walhall che brucia ci risulterebbe del tutto estraneo, incomprensibile e avulso dal contesto, se non ne avessimo seguito le complesse e straordinarie vicende, estese su ben tre opere precedenti e non ne avessimo conosciuto per esperienza diretta la complessa personalità…

Persino “corpi inanimati”, come Reno, Fuoco e Walhall, ci risulterebbero freddi e distaccati, se non ne avessimo avuto intimo e diretto contatto in precedenza… 

E (come dubitarne!) tutta questa diversa luce in cui noi vediamo Götterdämmerung e i suoi personaggi proviene null’altro che dalla musica, dai temi (i Leitmotive) che abbiamo conosciuto “da giovani” ed ora rivediamo a riascoltiamo maturi (addirittura, in certi casi, moribondi…) e dalle loro variazioni, che ci testimoniano il continuo ed inesorabile fluire del tempo-spazio.

Sul piano del realismo mitico, Götterdämmerung resta al di sotto delle tre opere che la precedono, in forza della sua stessa origine. Wagner, nonostante tutti gli sforzi fatti per evitarlo, resta vittima di molti degli aspetti deteriori del melodramma tradizionale, che pure condannerà aspramente a partire dalla sua rivoluzione post-1848. Ma la Siegfrieds Tod era invece nata prima, ed era infarcita di situazioni improbabili, illogiche, miracolistiche, proprio come le opere che l’avevano preceduta: Lohengrin, Tannhäuser, Holländer, per non parlare delle prime esperienze di Feen e Liebesverbot. Per cui è quasi naturale che una storia, nata come singola epopea di un giovane eroe, e poi divenuta “cosmica”, abbia finito per comportare inevitabili dissimmetrie e parecchie incongruenze. In Götterdämmerung possiamo proprio dire che tutti i nodi vengono al pettine, e fatalmente Wagner fatica a riannodare coerentemente tutti i “fili pendenti”. Per salvare l’intero dramma il nostro artista si vide costretto anche ad accettare qualche forzatura al realismo (la mano di Siegfried morto che si oppone ad Hagen, ad esempio) oppure ad ammettere qualche comportamento di taluni personaggi francamente improbabile o illogico (come il fatto - davvero cruciale - che Siegfried si tenga per sè l’anello sequestrato a Brünnhilde, invece di consegnarlo a Gunther). Ciò faremo notare via via, ma soltanto nelle note, poichè nulla ci deve distrarre dal godimento estetico che ci viene dall’ascolto di quest’ultima giornata del Ring(2).       

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Note:
1. Vi era condensato – nel Prologo – tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Evidentemente – nel 1848 - Wagner non era ancora sufficientemente temerario da immaginare un “ciclo” di drammi su cui spalmare le vicende della sua personalissima rielaborazione delle saghe eddico-germaniche. Ma, soprattutto, non aveva ancora maturato le geniali intuizioni che – di lì a poco – lo avrebbero portato ad inaugurare letteralmente una nuova “era geologica” nel campo del dramma in musica…    
2. Quanto dura, in termini di tempo effettivo, Götterdämmerung? Si parte nel bel mezzo di una notte; poi si vive un’intera giornata, fino alla fine del primo atto; il secondo atto occupa a sua volta un’intera giornata; e un’altra ne occupa, fino a tarda notte, il terzo atto. Quindi, in tutto: tre giorni pieni.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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