Si
è già ricordato più volte che Götterdämmerung era nata (col titolo di Siegfrieds Tod) nella mente di Wagner
come una “grande opera eroica” (per non dire - tout court - un Grand Opéra)(1). Grandissimo merito del
nostro fu di averne saputo cambiare “in corsa” obiettivi e significato, senza
minarne in alcun modo le macro-strutture, ma ri-adattandole alla nuova
concezione, filosofica e artistica, che aveva nel frattempo maturato. Oggi ci è
davvero difficile immaginare cosa sarebbe quest’opera, se fosse rimasta
isolata, come Lohengrin, o Tannhäuser, o Holländer; e come noi l’ascolteremmo,
e quali significati avrebbe per noi, quali emozioni ci darebbe (o meglio: ci
negherebbe!)
Quando
ascoltiamo dalle Norne il racconto dei “tempi remoti”, ci emozioniamo perché
questi tempi li abbiamo vissuti noi stessi da spettatori, viceversa quel
racconto ci lascerebbe quanto meno perplessi, se non proprio indifferenti…
Quando
incontriamo Siegfried e Brünnhilde “adulti”, con la loro personalità matura,
restiamo stupefatti, proprio come quando ci capita di rivedere dopo alcuni anni
delle persone che avevamo visto crescere, da ragazzi; nulla di tutto ciò accade
quando ci troviamo di fronte direttamente persone adulte, sconociute fino a
poco prima…
Alberich
che invita il figlio Hagen a dedicarsi al recupero dell’anello ci apparirebbe
come uno psicopatico malato, se non conoscessimo tutto l’insieme e l’intreccio
dei fatti, ma soprattutto dei sentimenti, che ne hanno caratterizzato (e
sconvolto) l’esistenza…
Certi
atteggiamenti di Siegfried ci sembrerebbero gratuiti o sciocchi, se non fossimo
stati testimoni diretti della sua adolescenza, delle condizioni in cui il
ragazzo diventò uomo e di come si fece largo nella storia dell’umanità…
Sono
i ricordi diretti della Brünnhilde Valchiria, della sua scoperta dell’amore e
della sua giustificazione, e poi del suo risveglio e del suo “divenire donna”,
che ci fanno commuovere fino alle lacrime, quando ne ascoltiamo la conclusiva
orazione…
Il
Wotan menzionato da Waltraute e intravisto – solo in didascalìa – nel Walhall
che brucia ci risulterebbe del tutto estraneo, incomprensibile e avulso dal
contesto, se non ne avessimo seguito le complesse e straordinarie vicende,
estese su ben tre opere precedenti e non ne avessimo conosciuto per esperienza
diretta la complessa personalità…
Persino
“corpi inanimati”, come Reno, Fuoco e Walhall, ci risulterebbero freddi e
distaccati, se non ne avessimo avuto intimo e diretto contatto in precedenza…
E
(come dubitarne!) tutta questa diversa luce in cui noi vediamo Götterdämmerung
e i suoi personaggi proviene null’altro che dalla musica, dai temi (i Leitmotive)
che abbiamo conosciuto “da giovani” ed ora rivediamo a riascoltiamo maturi
(addirittura, in certi casi, moribondi…) e dalle loro variazioni, che ci
testimoniano il continuo ed inesorabile fluire del tempo-spazio.
Sul
piano del realismo mitico, Götterdämmerung
resta al di sotto delle tre opere che la precedono, in forza della sua stessa
origine. Wagner, nonostante tutti gli sforzi fatti per evitarlo, resta vittima
di molti degli aspetti deteriori del melodramma tradizionale, che pure condannerà
aspramente a partire dalla sua rivoluzione post-1848. Ma la Siegfrieds Tod era invece nata prima, ed
era infarcita di situazioni improbabili, illogiche, miracolistiche, proprio
come le opere che l’avevano preceduta: Lohengrin, Tannhäuser, Holländer, per
non parlare delle prime esperienze di Feen e Liebesverbot. Per cui è quasi
naturale che una storia, nata come singola epopea di un giovane eroe, e poi
divenuta “cosmica”, abbia finito per comportare inevitabili dissimmetrie e parecchie
incongruenze. In Götterdämmerung possiamo proprio dire che tutti i nodi vengono al pettine, e fatalmente Wagner fatica a
riannodare coerentemente tutti i “fili pendenti”. Per salvare l’intero dramma
il nostro artista si vide costretto anche ad accettare qualche forzatura al
realismo (la mano di Siegfried morto che si oppone ad Hagen, ad esempio) oppure
ad ammettere qualche comportamento di taluni personaggi francamente improbabile
o illogico (come il fatto - davvero cruciale - che Siegfried si tenga per sè
l’anello sequestrato a Brünnhilde, invece di consegnarlo a Gunther). Ciò faremo
notare via via, ma soltanto nelle note, poichè nulla ci deve distrarre dal
godimento estetico che ci viene dall’ascolto di quest’ultima giornata del Ring(2).
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Note:
1. Vi era condensato – nel Prologo –
tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Evidentemente – nel 1848 - Wagner non era ancora
sufficientemente temerario da immaginare un “ciclo” di drammi su cui spalmare
le vicende della sua personalissima rielaborazione delle saghe
eddico-germaniche. Ma, soprattutto, non aveva ancora maturato le geniali
intuizioni che – di lì a poco – lo avrebbero portato ad inaugurare
letteralmente una nuova “era geologica” nel campo del dramma in musica…
2. Quanto dura, in termini di tempo
effettivo, Götterdämmerung? Si parte nel bel mezzo di una notte; poi si vive
un’intera giornata, fino alla fine del primo atto; il secondo atto occupa a sua
volta un’intera giornata; e un’altra ne occupa, fino a tarda notte, il terzo
atto. Quindi, in tutto: tre giorni pieni.
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