24 ott 2012

4.3.1.4 Siegfried, Atto III, Scena I – Erda: un bilancio.


Dato che non tornerà più – almeno come personaggio visibile - nella vicenda cosmica del Ring, è il caso qui di fare un breve riepilogo del ruolo che Wagner riserva ad Erda. Ruolo limitato nell'estensione, ma complesso, multiforme, anche equivoco, nella migliore tradizione greca e nordica(1) delle varie sibille. Che dicono tutto e nulla, spaventano ed ammiccano, minacciano e lusingano(2). Ma, come sempre, Wagner va ben al di là della superficie, della crosta dei problemi, spingendosi invece ad approfondirli per poi musicalmente rappresentarli.

Erda compare, in un autentico colpo di teatro, nella quarta scena del Rheingold. Per quale motivo? Lei stessa, dopo l'iniziale ammonimento, lo spiega a Wotan, che gliene chiede ragione: benchè le mie figlie (le tre Norne) ogni notte riferiscano sullo stato dell'universo, l'attuale situazione politica è arrivata ad un punto di crisi talmente acuto, che mi ha spinto ad intervenire di persona. E già qui ci si potrebbe porre una domanda: per quale motivo Erda, che dovrebbe stare al di sopra delle parti entra invece – e pesantemente – nelle vicende del mondo, senza che alcuno l'abbia interpellata? O dobbiamo cominciare a pensare che rappresenti la coscienza? O il senso di colpa? O un presentimento che improvvisamente si manifesta nella mente di Wotan, emergendo dagli abissi del suo subconscio?

Ma come si era presentata, salendo dalle profondità, la nostra madre-terra? Beh, in modo davvero sibillino, come possiamo giudicare analizzando, proprio verbatim, le sue prime parole.(3)

"Weiche, Wotan! Weiche! / Flieh' des Ringes Fluch!"(4) Il significato qui sembrerebbe implicitamente chiaro: sull'Anello grava una maledizione, quindi cedilo in modo da evitarne le nefaste conseguenze. Un avvertimento certo drammatico, ma che lascerebbe spazio a Wotan per cavarsela, liberandosi dell'Anello.

Ma poi: "Rettungslos / dunklem Verderben / weiht dich sein Gewinn."(5) E qui invece abbiamo la parte sibillina, tutta racchiusa in quell'equivoco Gewinn. Che può essere inteso almeno in due diverse accezioni, con conseguenze antipodiche. La prima (un profitto derivante dal possedere, stato perdurante nel tempo, ma anche revocabile) parrebbe rafforzare il senso della frase precedente: se il possedere l'Anello ineluttabilmente comporta la rovina, lo spossessarsi dell'Anello quella rovina dovrebbe scongiurare. Ma la seconda accezione (la conquista, atto una-tantum) non sembrerebbe lasciar scampo a Wotan, che quell'Anello, ahilui, lo ha già conquistato (anzi, addirittura rubato) e lo porta ostentatamente ed orgogliosamente al dito!(6)

E appena dopo Erda riassume la "sibillinità" della sua profezia, congedandosi con le parole: "Alles was ist, endet. / Ein düst'rer Tag / dämmert den Göttern: / dir rat' ich, meide den Ring!"(7) Insomma, se la fine è proprio ineluttabile, a che serve adesso liberarsi dell'Anello? E sembra quasi prendersi perfidamente gioco di Wotan quando, sprofondando, lo ammonisce: "Ich warnte dich; / du weisst genug: / sinn' in Sorg' und Furcht!"(8) Che equivale ad ammettere che la sua profezia prevede tutto e il contrario di tutto, e l'unico suo effetto certo è di mettere addosso a Wotan quell'ansia e quell'angoscia che si annideranno nel suo subconscio, avvelenandogli la vita per il resto dei suoi giorni.(9)

Subito dopo Wotan cede – pur di malavoglia - l'Anello ai Giganti, convinto così di cavarsela, al sicuro nel Walhall nuovo di zecca. Ma nel retrocranio sta già architettando un piano - la Spada! - per recuperare l'Anello per interposta persona, credendo così di fregare la maledizione e il destino insieme!

Nel tempo (anni? secoli? ere?) che divide il Rheingold dalla Walküre, Wotan – evidentemente roso dai dubbi - trova tempo e modo di rintracciare Erda. La circuisce con subdole trame amorose, la violenta e la mette incinta di Brünnhilde (più altre otto Valchirie in sopramercato!?) In cambio… Erda gli rivela altri fondamentali particolari dell'imminente futuro: il pericolo di Alberich e delle sue schiere di abitanti del sottosuolo.

Wotan è convinto di avere la mossa contraria: ammassare nel Walhall i più nobili e fedeli eroi, per difendere la rocca, se stesso e gli altri dèi dall'assalto di Alberich&C. Non basta! Poiché Erda lo avverte che, tornasse Alberich in possesso dell'Anello, con la magìa di questo potrebbe plagiare gli eroi di Wotan, aizzandoli contro di lui! Quindi l'obiettivo che Wotan si era già posto alla fine del Rheingold adesso diventa addirittura un imperativo categorico: recuperare l'Anello a tutti i costi… prima che lo faccia Alberich.

Premesso che il contenuto di questo incontro ci viene descritto da Wotan nella Walküre – e solo in parte confermato, qui nel Siegfried, da Erda stessa – e quindi è da prendere con beneficio d'inventario, sorge immediatamente un problema: l'avvertimento di Erda, relativo al pericolo mortale rappresentato per lui e il suo mondo dal rientro dell'Anello nel possesso del Nibelungo, agli effetti pratici è – parliamoci chiaro – un evidente suggerimento a Wotan per cercare a sua volta di riprenderselo, sia pure per interposta persona (Siegmund prima, Siegfried poi). Cioè l'esatto contrario di ciò che Erda aveva consigliato di fare a Wotan nel Rheingold (liberarsi dell'Anello per evitarne la maledizione). Come si vede, anche qui Erda nulla ha da invidiare alle sibille più… sibilline.

Abbiamo poco fa assistito in diretta al terzo e definitivo – quanto sterile – incontro fra i due personaggi. Wotan, dopo averne invano implorato il consiglio, annichilisce Erda, proclamando la sua propria volontà essere superiore alla di lei sapienza! E prefigurando la propria fine - originariamente voluta nella più profonda disperazione - come un trionfale "passaggio di consegne" alla figlia e al nipote, cui andrà l'eredità del mondo (strepitosamente scolpita in musica!) garantita dal possesso innocente perchè inconsapevole (ma purtroppo solo in Siegfried!) dell'Anello. E invece Wotan resterà comunque vittima della maledizione, per tramite della sua stessa decisione (ricordate: Walküre, Atto II, Scena II) di spifferare tutto alla figlia! La quale eserciterà quindi un possesso cosciente – e perciò colpevole e soggetto alla maledizione di Alberich – del rosso manufatto.

In definitiva, possiamo concludere che, per Wotan, Erda rappresenti il destino (che conosce ciò che fu, è, e sarà): 1. come dapprima il dio lo percepisce nel subconscio (Rheingold) senza ancora razionalizzarlo; 2. come poi lo riconosce e lo affronta a viso aperto (Walküre) cercando prima di forzarne il corso, poi rassegnandovisi spaventevolmente; 3. come infine (Siegfried) si illude di avere domato attraverso un compromesso: l'eredità del mondo ceduta sì, ma raccolta dai suoi diretti discendenti (?!) Sappiamo (Götterdämmerung) che non finirà così, poiché con il destino non si può mai venire a compromessi, né giocare a rimpiattino, come Anassimandro aveva chiaramente intuìto già da 25 secoli.

Intanto, investita da quella stessa profezia con la quale lei nel Rheingold aveva ammonito Wotan (sulla fine degli dèi) e che ora Wotan le ributta in faccia (tu sei finita, torna a dormire per sempre!) Erda scompare, e con lei vengono definitivamente seppellite tutte le sibille, le veggenti e le lettrici di carte e tarocchi dell'improbabile universo di creduloni e pusillanimi.

Cosa rimane di lei? Un'allegoria, tra le tante che Wagner ci ha proposto. Quella della presa di coscienza, da parte dell'essere umano, dell'ineluttabilità della morte, della propria caducità e della propria fragilità. Una consapevolezza che però non solo non reca conforto e serenità, ma anzi induce un perenne stato di ansia e di conseguente schizofrenia.(10)
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Note:
1. Come già segnalato, la figura di Erda è costruita da Wagner sintetizzando perlomeno due personaggi che arrivano dalle saghe medievali: Jörd e Völva. Allo stesso modo abbiamo notato come la figura di Wotan derivi da due diverse fonti mitologiche; e come una cosa analoga accada per Loge. Ancora una volta, Wagner costruì il suo mondo mitologico adattando ai suoi fini ciò che trovava nelle saghe nordiche.
2. Nella Völuspá la Völva ne racconta di tutti i colori all'interrogante Valföðr (Odin) e in particolare alterna profezie incoraggianti ad altre nefaste. Proprio nelle ultimissime strofe mescola previsioni di un futuro radioso, con il ritorno in vita di Balder (figlio di Odin, ucciso dal gigante Loki) e l'insediamento di un perfetto ordine universale… e subito dopo con la visione orripilante ed apocalittica di un serpente volante che trasporta sulla terra Niðhöggr, il terribile drago infernale.
3. Per farlo in maniera non unilaterale, proverò a riferirmi a due autorevoli traduzioni in italiano, quella storica di Guido Manacorda e quella recentissima di Franco Serpa.
4. Manacorda: Cedi, Wotan, cedi! / La maledizione dell'anello fuggi!
Serpa: Cedi, Wotan, cedi! / Fuggi il maleficio dell'anello!
5. Manacorda: Senza salvezza / a nera sciagura / la sua conquista ti consacra.
Serpa: A oscura perdizione / senza scampo /ti consacra il suo possesso.
6. Come si vede, anche Manacorda e Serpa danno due (libere) traduzioni che confermano la "sibillinità" dell'ammonimento di Erda.
7. Tutto quel che è, finisce! / Un giorno oscuro / rompe agli dèi: / ti consiglio: scansa l'anello!
8. Ti ho prevenuto: / assai tu sai: / medita in turbamento e timore! 
9. Abbiamo appena ascoltato Wotan rinfacciare precisamente questo ad Erda. 
10. Ritorneremo sul concetto al momento di trarre un bilancio della figura di Wotan.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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