Per
prepararci alla scena-madre del second’atto (l’uccisione di Fafner) Wagner ci
propone uno dei momenti di più alta ispirazione di tutta la sua produzione
musicale: uno dei tre cosiddetti Incantesimi
(1), in cui l’Artista si abbandona totalmente al richiamo della Natura, e
sembra quasi volersi sciogliere in essa. Ma anche dove ci sciorina un poetico trattato
sui rapporti fra figlio e madre(2).
In
scena è rimasto solo Siegfried che – liberatosi finalmente dell’insopportabile
presenza di Mime - si è disteso a riposare sotto il gran tiglio. I violoncelli,
sempre in RE minore, riprendono per 10 battute il tema fatto di crome ondeggianti
che era apparso nelle viole sulle ultime parole di Mime. Ora la tonalità passa
subitaneamente a MI maggiore, e Siegfried si compiace che il nano non sia suo
padre, la qual constatazione gli fa ancor più apprezzare la natura che lo
circonda, di cui adesso sono i violini secondi a dettare la melodia, poi
ripresa dai violoncelli, che ondeggia attorno alla tonica e alla dominante. Ancora
Siegfried si domanda quale aspetto avesse suo padre: ma certo! doveva essere
(bello) come me! ché se io fossi figlio di Mime, avrei allora le sue stesse
vomitevoli fattezze! La tonalità è virata momentaneamente a RE minore, col tema
dei Nibelunghi nelle viole, poi in clarinetti e corno inglese, a sostenere le
ultime imprecazioni del ragazzo contro il tutore: non lo posso più vedere!
Ma
ora torna il celestiale MI maggiore per introdurre quella meraviglia
indescrivibile rappresentata dal Waldweben,
che viene generalmente tradotto come “mormorìo della foresta”, ma che è in
realtà qualcosa di intraducibile: movimento, vita, agitazione, letteralmente tessitura... insomma tutto quell’insieme
di rumori, suoni, soffi, fruscìi e presenze che caratterizzano quell’ambiente
naturale; e Wagner ce lo evoca - meglio: evoca le sensazioni che Siegfried
prova abbandonandovisi totalmente – con mirabili quanto semplici sestine (non tremoli!) degli archi(3) (tutti
con sordina) su un pedale di MI tenuto dei quattro corni.
Ma
cosa udiamo, dopo sette battute, dalla calda voce del clarinetto in LA? Il tema
dei Wälsi, poi ripreso da viole e violoncelli: è in fin dei conti il DNA di Siegfried,
che si chiede quale fosse l’aspetto della madre: e la immagina ovviamente
bellissima, con gli occhi di una cerbiatta, ma ancor più belli! Poi, un triste
pensiero occupa la sua mente: perché, dopo avermi dato faticosamente alla luce,
mia madre morì? Forse che tutte le madri muoiono mettendo al mondo i loro
piccoli? Certo sarebbe ben triste! E lo struggente motivo della Bramosia dell’amor materno (che per la
prima volta aveva accompagnato la richiesta di Siegfried a Mime, di sapere chi
fosse sua madre) si alza nei violoncelli, partendo dal SOL, salendo
cromaticamente al DO, poi al DO# e da qui al MI, che diventa mediante del DO da
cui si diparte stupendamente il tema dell’Amore! Ah, potessi vedere mia madre:
ancora la bramosia sale, adesso un
tono sopra, al RE, da cui nuovamente emana il tema dell’Amore, mentre Siegfried
invoca , con un fil di voce: mia madre! una femmina
umana! (sic…)
E
qui Wagner si supera davvero nell’evocare insieme i concetti di madre, amore e
bellezza: siamo scivolati in SOL maggiore per ascoltare una sbudellante melodia
che viene da molto, molto lontano (Rheingold, seconda scena, racconto di Loge)
ed ha perciò l’effetto di risvegliare alla mente sensazioni che non provavamo
da tempo immemorabile: è il motivo della Felicità
d’amore (terzina ascendente e quattro crome discendenti) sull’arpeggio di
SOL, sul quale si innesta, in DO maggiore a partire dal MI, il dolcissimo tema
di Freia che sale per due ottave, per
poi discendere lentamente verso il MI, sul quale abbiamo una nuova modulazione
(DO maggiore - MI maggiore) poiché torniamo, con Siegfried, ad ascoltare ciò
che ci racconta la foresta.
La
quale foresta sembra ora essersi ulteriormente animata: mentre i corni tengono
un pedale con la triade di MI, gli archi tolgono la sordina e suonano divisi:
in 5 i violini primi, in 3 i secondi, in 2 le viole e i contrabbassi, e in 5 i
celli… ben 17 diverse voci (della Natura)! Sulle quali, dopo due battute,
udiamo con Siegfried quella dei simpatici abitanti del bosco: gli uccellini,
uno dei quali canta, appollaiato sulla punta del tiglio, proprio sopra la testa
del ragazzo che lo fissa, standosene completamente sdraiato sull’erba.
Ed
è proprio tutto un festival di cinguettìi(4) che poggiano su una scala
pentatonica (quella che manca di sottodominante e sensibile). Oboe, flauto e
clarinetto(5) si alternano nel presentare i diversi motivi del canto degli
uccelli: motivi che riudremo più avanti nella voce del soprano che incarnerà l’Uccellino,
quando Siegfried saprà intenderne il canto. Canto cui per il momento il ragazzo
presta grande attenzione, poiché pensa ingenuamente che l’uccellino gli stia raccontando
qualcosa della madre!
E
ricorda come Mime gli avesse detto che l’uomo potrebbe arrivare a comprenderlo,
il canto degli uccelli(6); così decide di usare il loro linguaggio, o almeno di
simulare il suono del loro cinguettare, sperando in tal modo di intavolare con
loro un dialogo amichevole e istruttivo. Adocchia il canneto che sta vicino
alla fonte e con la spada (il cui tema scalpita baldanzosamente nei fiati) si
ritaglia un rudimentale flauto, mentre l’uccellino canta e poi tace, quasi in
attesa di una sua risposta.
Qui
abbiamo il siparietto di Siegfried che prova con il suo rudimentale strumento ad
imitare il cinguettìo degli uccelli: è il corno inglese che è chiamato ad emettere
suoni striduli e impuri (come prescrive Wagner) intonati sul primo dei temi esposto
in precedenza all’oboe. Lo stesso tema che un uccellino ripropone (nel
clarinetto) e che sfocia, nel flauto, in quello dell’Amore… mentre Siegfried si
rende conto di non saperlo per nulla imitare. E così, con decisione subitanea,
prova ad usare il suo corno d’argento, i cui richiami in passato hanno attirato
orsi e lupi, ma che oggi potrebbero forse destare l’attenzione dei volatili.
Il
corno solista in FA non può altro che suonare i motivi di Siegfried: il Grido del fanciullo, per tre volte (prima
la forma corta, che sfocia sulla dominante alta; poi quella più lunga,
sfociante sulla dominante bassa; infine una terza, ancor più lunga, che si
adagia sulla mediante, scendendo infine di un’ottava); poi il tema di Siegfried
(quello che viene dalla Walküre) due volte (la prima sezione, poi il tema
completo); poi ancora il Grido,
questa volta ipertroficamente ampliato e sfociante sulla dominante bassa; poi
ancora il tema della spada (quello ampliato) che si chiude sulla dominante
alta; infine il Grido che sale fino alla tonica sul FA acuto.
Ma
attenzione, sugli ultimi due motivi esposti dal corno, cominciamo ad udire,
rabbrividendo, suoni cavernosi dal basso- e dal contrabbasso-tuba: quale bestia avrà mai ridestato il richiamo di Siegfried?
___
Note:
1. Quello
del fuoco, nella Walküre e quello del
Venerdi santo, in Parsifal.
2. Lasciato
Siegfried sotto il tiglio a pensare al padre e alla madre, Wagner si volgerà a
Tristan dove – guarda caso, nel terz’atto – riprenderà stupendamente la
problematica del rapporto con i genitori (la madre, soprattutto) evidentemente
una costante nella sua visione esistenziale, prima ancora che artistica ed
estetica.
3. In
tanta letteratura e musica romantica si possono individuare le fonti di
ispirazione di questo straordinario passaggio musicale: una fra tutte è il
weberiano Freischütz, precisamente la
scena alla gola del lupo, allorquando Caspar invoca Samiel. Quanto all’intento
poetico del musicista, Wagner assume quello programmaticamente dichiarato da
Beethoven all’inizio della Pastorale:
non già descrivere fenomeni naturali,
ma evocare le sensazioni che essi
trasmettono all’animo umano. È ciò che ricordava acutamente Adolphe Appia,
grande scenografo ed ammiratore di Wagner, che si scagliava contro la stupida
oleografia delle foreste di cartapesta, con alberi dalle foglie di cartavelina
agitate tirando cordicelle (!)
4. Nella Pastorale Beethoven cita espressamente
tre generi di uccelli: usignolo (flauto) quaglia (oboe) e cuculo (clarinetto).
Wagner non ha bisogno di fare nomi (qualche esegeta ha provato a stilare
cataloghi degli uccelli che si udirebbero qui) tanta è l’efficacia della sua
musica.
5. Come in
Beethoven.
6. Questa
è una notizia non suffragata da quanto abbiamo sin qui ascoltato: mai Mime ha
accennato a Siegfried di questa possibilità.
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