30 lug 2012

4.2.2.2 Siegfried, Atto II, Scena II – Siegfried nel regno di Pan.


Per prepararci alla scena-madre del second’atto (l’uccisione di Fafner) Wagner ci propone uno dei momenti di più alta ispirazione di tutta la sua produzione musicale: uno dei tre cosiddetti Incantesimi (1), in cui l’Artista si abbandona totalmente al richiamo della Natura, e sembra quasi volersi sciogliere in essa. Ma anche dove ci sciorina un poetico trattato sui rapporti fra figlio e madre(2).   

In scena è rimasto solo Siegfried che – liberatosi finalmente dell’insopportabile presenza di Mime - si è disteso a riposare sotto il gran tiglio. I violoncelli, sempre in RE minore, riprendono per 10 battute il tema fatto di crome ondeggianti che era apparso nelle viole sulle ultime parole di Mime. Ora la tonalità passa subitaneamente a MI maggiore, e Siegfried si compiace che il nano non sia suo padre, la qual constatazione gli fa ancor più apprezzare la natura che lo circonda, di cui adesso sono i violini secondi a dettare la melodia, poi ripresa dai violoncelli, che ondeggia attorno alla tonica e alla dominante. Ancora Siegfried si domanda quale aspetto avesse suo padre: ma certo! doveva essere (bello) come me! ché se io fossi figlio di Mime, avrei allora le sue stesse vomitevoli fattezze! La tonalità è virata momentaneamente a RE minore, col tema dei Nibelunghi nelle viole, poi in clarinetti e corno inglese, a sostenere le ultime imprecazioni del ragazzo contro il tutore: non lo posso più vedere!   

Ma ora torna il celestiale MI maggiore per introdurre quella meraviglia indescrivibile rappresentata dal Waldweben, che viene generalmente tradotto come “mormorìo della foresta”, ma che è in realtà qualcosa di intraducibile: movimento, vita, agitazione, letteralmente tessitura... insomma tutto quell’insieme di rumori, suoni, soffi, fruscìi e presenze che caratterizzano quell’ambiente naturale; e Wagner ce lo evoca - meglio: evoca le sensazioni che Siegfried prova abbandonandovisi totalmente – con mirabili quanto semplici sestine (non tremoli!) degli archi(3) (tutti con sordina) su un pedale di MI tenuto dei quattro corni.

Ma cosa udiamo, dopo sette battute, dalla calda voce del clarinetto in LA? Il tema dei Wälsi, poi ripreso da viole e violoncelli: è in fin dei conti il DNA di Siegfried, che si chiede quale fosse l’aspetto della madre: e la immagina ovviamente bellissima, con gli occhi di una cerbiatta, ma ancor più belli! Poi, un triste pensiero occupa la sua mente: perché, dopo avermi dato faticosamente alla luce, mia madre morì? Forse che tutte le madri muoiono mettendo al mondo i loro piccoli? Certo sarebbe ben triste! E lo struggente motivo della Bramosia dell’amor materno (che per la prima volta aveva accompagnato la richiesta di Siegfried a Mime, di sapere chi fosse sua madre) si alza nei violoncelli, partendo dal SOL, salendo cromaticamente al DO, poi al DO# e da qui al MI, che diventa mediante del DO da cui si diparte stupendamente il tema dell’Amore! Ah, potessi vedere mia madre: ancora la bramosia sale, adesso un tono sopra, al RE, da cui nuovamente emana il tema dell’Amore, mentre Siegfried invoca , con un fil di voce: mia madre! una femmina umana! (sic…)

E qui Wagner si supera davvero nell’evocare insieme i concetti di madre, amore e bellezza: siamo scivolati in SOL maggiore per ascoltare una sbudellante melodia che viene da molto, molto lontano (Rheingold, seconda scena, racconto di Loge) ed ha perciò l’effetto di risvegliare alla mente sensazioni che non provavamo da tempo immemorabile: è il motivo della Felicità d’amore (terzina ascendente e quattro crome discendenti) sull’arpeggio di SOL, sul quale si innesta, in DO maggiore a partire dal MI, il dolcissimo tema di Freia che sale per due ottave, per poi discendere lentamente verso il MI, sul quale abbiamo una nuova modulazione (DO maggiore - MI maggiore) poiché torniamo, con Siegfried, ad ascoltare ciò che ci racconta la foresta.

La quale foresta sembra ora essersi ulteriormente animata: mentre i corni tengono un pedale con la triade di MI, gli archi tolgono la sordina e suonano divisi: in 5 i violini primi, in 3 i secondi, in 2 le viole e i contrabbassi, e in 5 i celli… ben 17 diverse voci (della Natura)! Sulle quali, dopo due battute, udiamo con Siegfried quella dei simpatici abitanti del bosco: gli uccellini, uno dei quali canta, appollaiato sulla punta del tiglio, proprio sopra la testa del ragazzo che lo fissa, standosene completamente sdraiato sull’erba.

Ed è proprio tutto un festival di cinguettìi(4) che poggiano su una scala pentatonica (quella che manca di sottodominante e sensibile). Oboe, flauto e clarinetto(5) si alternano nel presentare i diversi motivi del canto degli uccelli: motivi che riudremo più avanti nella voce del soprano che incarnerà l’Uccellino, quando Siegfried saprà intenderne il canto. Canto cui per il momento il ragazzo presta grande attenzione, poiché pensa ingenuamente che l’uccellino gli stia raccontando qualcosa della madre!

E ricorda come Mime gli avesse detto che l’uomo potrebbe arrivare a comprenderlo, il canto degli uccelli(6); così decide di usare il loro linguaggio, o almeno di simulare il suono del loro cinguettare, sperando in tal modo di intavolare con loro un dialogo amichevole e istruttivo. Adocchia il canneto che sta vicino alla fonte e con la spada (il cui tema scalpita baldanzosamente nei fiati) si ritaglia un rudimentale flauto, mentre l’uccellino canta e poi tace, quasi in attesa di una sua risposta.

Qui abbiamo il siparietto di Siegfried che prova con il suo rudimentale strumento ad imitare il cinguettìo degli uccelli: è il corno inglese che è chiamato ad emettere suoni striduli e impuri (come prescrive Wagner) intonati sul primo dei temi esposto in precedenza all’oboe. Lo stesso tema che un uccellino ripropone (nel clarinetto) e che sfocia, nel flauto, in quello dell’Amore… mentre Siegfried si rende conto di non saperlo per nulla imitare. E così, con decisione subitanea, prova ad usare il suo corno d’argento, i cui richiami in passato hanno attirato orsi e lupi, ma che oggi potrebbero forse destare l’attenzione dei volatili.

Il corno solista in FA non può altro che suonare i motivi di Siegfried: il Grido del fanciullo, per tre volte (prima la forma corta, che sfocia sulla dominante alta; poi quella più lunga, sfociante sulla dominante bassa; infine una terza, ancor più lunga, che si adagia sulla mediante, scendendo infine di un’ottava); poi il tema di Siegfried (quello che viene dalla Walküre) due volte (la prima sezione, poi il tema completo); poi ancora il Grido, questa volta ipertroficamente ampliato e sfociante sulla dominante bassa; poi ancora il tema della spada (quello ampliato) che si chiude sulla dominante alta; infine il Grido che sale fino alla tonica sul FA acuto.

Ma attenzione, sugli ultimi due motivi esposti dal corno, cominciamo ad udire, rabbrividendo, suoni cavernosi dal basso- e dal contrabbasso-tuba: quale bestia avrà mai ridestato il richiamo di Siegfried?
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Note:
1. Quello del fuoco, nella Walküre e quello del Venerdi santo, in Parsifal.
2. Lasciato Siegfried sotto il tiglio a pensare al padre e alla madre, Wagner si volgerà a Tristan dove – guarda caso, nel terz’atto – riprenderà stupendamente la problematica del rapporto con i genitori (la madre, soprattutto) evidentemente una costante nella sua visione esistenziale, prima ancora che artistica ed estetica.   
3. In tanta letteratura e musica romantica si possono individuare le fonti di ispirazione di questo straordinario passaggio musicale: una fra tutte è il weberiano Freischütz, precisamente la scena alla gola del lupo, allorquando Caspar invoca Samiel. Quanto all’intento poetico del musicista, Wagner assume quello programmaticamente dichiarato da Beethoven all’inizio della Pastorale: non già descrivere fenomeni naturali, ma evocare le sensazioni che essi trasmettono all’animo umano. È ciò che ricordava acutamente Adolphe Appia, grande scenografo ed ammiratore di Wagner, che si scagliava contro la stupida oleografia delle foreste di cartapesta, con alberi dalle foglie di cartavelina agitate tirando cordicelle (!)        
4. Nella Pastorale Beethoven cita espressamente tre generi di uccelli: usignolo (flauto) quaglia (oboe) e cuculo (clarinetto). Wagner non ha bisogno di fare nomi (qualche esegeta ha provato a stilare cataloghi degli uccelli che si udirebbero qui) tanta è l’efficacia della sua musica.   
5. Come in Beethoven.     
6. Questa è una notizia non suffragata da quanto abbiamo sin qui ascoltato: mai Mime ha accennato a Siegfried di questa possibilità.   

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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