6 nov 2012

4.3.2.3 Siegfried, Atto III, Scena II – Wotan: un bilancio.


Ora che è uscito di scena (non lo rivedremo più per il resto del Ring, ne sentiremo solo riferire) bisogna pur fare qualche considerazione anche su Wotan.

Del quale abbiamo avuto modo di apprezzare la complessa personalità: quella di un "dio" che si è fatto da sé, anche attraverso "strappi" operati ai danni della Natura (leggi: Yggdrasil) arrivando ad essere il capo riconosciuto del mondo intero (o quasi… Nibelunghi esclusi); di un uomo capace di amore (leggi: la decisione di perdere un occhio della testa per avere Fricka!); di un padre amoroso e amorevole oltre ogni possibile immaginazione (leggi: il rapporto con Brünnhilde); di un politico dotato di notevoli capacità di governo (leggi: propensione al compromesso); ma anche – puramente e semplicemente – di un ladro (leggi: il furto dell'Anello) e corruttore/corrotto.

Un individuo che al potere (alla "poltrona" diremmo oggi) è legato da un'attrazione morbosa, e che sente come una tragedia l'avvicinarsi dell'inesorabile fine di quella cuccagna che si è per tanto tempo goduta.

Insomma: è l'archetipo perfetto (a parte la consapevolezza della propria fine!) di tanti uomini politici, grandi e piccoli, dei giorni nostri.

Ma adesso esaminiamo più in particolare i suoi continui cambiamenti di umore, di cui siamo stati testimoni anche e soprattutto qui nel Siegfried. E all'uopo varrà la pena di riassumere le vicende fondamentali attraverso cui Wotan è passato.

Nel Rheingold, il capo degli dèi ha ottenuto ciò che voleva (il Walhall) ma ad un prezzo assai alto: commettere un furto in piena regola, rubando l'Anello onnipotente di Alberich, per poi vedersi quasi costretto (da Erda) a lasciarlo nelle mani di un buzzurro qualunque, quindi correndo un grandissimo rischio, nel caso in cui l'oggetto tornasse in possesso del suo fabbricatore. Da qui l'idea (impersonata dalla Spada) di un piano volto alla riconquista dell'Anello. Il morale di Wotan alla chiusa del Rheingold è decisamente alto: ha la sua rocca, dove ammasserà gli eroi in sua difesa, e ha già immaginato come affrontare e risolvere il problema-Anello. I dubbi e le paure che avevano attanagliato la sua mente nei momenti immediatamente successivi all'apparizione di Erda – e che lo avevano spinto a cercare di inseguirla seduta stante, trattenuto dagli altri dèi - sembrano del tutto rimossi. È però stata l'orchestra, come abbiamo potuto constatare a suo tempo, con quel brusco finale dove il motivo del Ponte viene troncato a metà, a gettare una luce non proprio idilliaca su Wotan e gli dèi che entrano nel Walhall.

E infatti verremo a sapere dallo stesso Wotan che dopo la chiusa del Rheingold quei dubbi e quelle preoccupazioni torneranno ad assillarlo al punto tale da spingerlo ad andare alla ricerca di Erda. La quale glieli confermerà fino in fondo, convincendolo di fatto della necessità di rientrare in qualunque modo in possesso dell'Anello, anticipando le mosse di Alberich. 

Nella Walküre abbiamo appreso del complicato disegno di Wotan: mettere al mondo un figlio (Siegmund) cui affidare il compito di recuperare il rosso manufatto. Quello che all'inizio del secondo atto saluta la figlia e poi si appresta ad affrontare il battibecco con Fricka è un Wotan decisamente tranquillo, sereno, di buonumore, ottimista e fiducioso: tutto sta andando e andrà secondo i suoi piani. E invece accade l'imprevisto: Fricka inchioda il marito alle sue responsabilità fino a provocare il totale fallimento di quel disegno e a portare Wotan alla più cupa disperazione, addirittura all'idea di desiderare per sé nientemeno che la fine. Per di più perdendo anche la sua figlia prediletta (Brünnhilde) rea di avergli disobbedito e – peggio – dopo essere stata proprio da lui messa a conoscenza di tutte le scomode verità che lo riguardano! Il Wotan che vediamo ed ascoltiamo al termine della prima giornata del Ring è un individuo letteralmente distrutto, nella sfera pubblica come in quella privata. 

Ma poi, nel Siegfried, noi abbiamo incontrato un Wotan per nulla demoralizzato e apparentemente ottimista e sicuro di sé: così (Atto I) ci è apparso - accompagnato dai suoi arcani e solenni accordi, che tutto indicavano tranne il cruccio e la disperazione - nella visita a Mime, da lui bistrattato e annichilito col sorriso sulle labbra; e così lo abbiamo visto (Atto II) davanti a Neidhöhle, in atteggiamento quasi cameratesco con il nemico numero uno, Alberich, e quasi in vena di scherzi con Fafner. Insomma, un Wotan magari conscio della propria inevitabile fine, ma praticamente certo della riuscita dell'impresa di Siegfried - finalmente un individuo della sua schiatta, ma dotato (a differenza di Siegmund) di un pieno e totale libero arbitrio – cui il dio è presumibilmente ben disposto a passare le consegne al momento opportuno. 

Qui nel terzo atto invece, mentre si avvicinava alla caverna di Erda, ed essendo già informato – si noti bene – della vittoria di Siegfried su Fafner, improvvisamente (e abbastanza sorprendentemente) abbiamo incontrato un Wotan tornato ad essere quello della Walküre, disperato, frustrato, e in cerca di consigli su "come impedire una ruota che gira". Ma subito dopo, pur non ottenendo risposte adeguate da Erda, lo abbiamo visto ritornare di colpo spavaldo e sicuro di sé, irridendo quasi la madre onnisciente ("la mia volontà è più forte della tua sapienza!") nel comunicarle la sua soddisfazione per l'impresa testè compiuta da Siegfried e la certezza che suo nipote, unendosi a sua figlia (!?)(1) raccoglierà la sua eredità, in modo che lui possa… morire contento.

Ma, come abbiamo udito, all'approssimarsi dell'incontro con Siegfried la frustrazione comincia nuovamente ad affiorare nel suo seno. Per un po' Wotan riesce a tenere un atteggiamento sereno, bonario, quasi da nonno affettuoso, apparentemente complice, ma ben presto e repentinamente torna severo, astioso, prepotente al punto da ostacolare il cammino di Siegfried - cioè il corso della Storia – e successivamente, da lui scalzato (ma non era proprio ciò che aveva desiderato?) invece di prepararsi ad una tranquilla vecchiaia (morte inclusa?) pare si stia preparando ad una fine non propriamente serena, né gloriosa: ne avremo conferma in Götterdämmerung, dalla profezia della terza Norna e poi dal racconto che Waltraute farà alla sorella verso la fine del primo atto. 

E però anche quel racconto ci dirà che in Wotan continueranno a coesistere, fino alla fine, manifestandosi alternativamente: il pessimismo - se non addirittura il nichilismo - più profondo e lampi di speranza (nella buona notizia portata dai suoi corvi del bel gesto redentore di Brünnhilde…) Ironia della sorte, la buona notizia arriverà ma… in compagnia delle fiamme di Loge, che potrà così consumare la sua calda vendetta, da lui meditata fin dal Rheingold! 

Insomma, questo personaggio così importante, anzi il personaggio-chiave del Ring, qui ci fa un po' la figura dello psicolabile… ma non v'è dubbio che sia propriamente così. E Wotan lo è diventato da un ben preciso momento: dall'apparizione di Erda nell'ultima scena del Rheingold. Da allora non ha fatto altro che passare dall'ottimismo alla disperazione e viceversa, con una frequenza bioritmica che si è follemente esasperata proprio in questo terzo atto del Siegfried. E non v'è dubbio che sia il suo subconscio a giocargli questi scherzi, un subconscio totalmente dissociato fra due diverse e opposte pulsioni, che alternativamente vi prendono il sopravvento (fenomeno tipico della schizofrenia): la consapevolezza dell'ineluttabilità della fine e l'illusione di poterla scongiurare, o quanto meno di poterne esorcizzare gli aspetti più insopportabili. 

Ma c'è di più: queste due opposte pulsioni adesso hanno anche un nome e un cognome. Il cognome è proprio il suo, i nomi sono quelli di suo nipote Siegfried e di sua figlia Brünnhilde! Siegfried muove le pulsioni positive, ottimistiche, in virtù delle sue innate qualità, prima fra tutte il libero arbitrio che lo caratterizza (insieme alla beata ignoranza…) e la totale conseguente immunità da vincoli e maledizioni. Brünnhilde invece sa tutto (ah, quel maledetto colloquio nel second'atto della Walküre!) ed è lei – lo specchio della coscienza di Wotan, in realtà - che continuamente fa emergere le pulsioni autodistruttive dal subconscio del padre, il quale avverte che qualcosa, causa la responsabilizzazione imposta alla figlia in quel drammatico faccia-a-faccia, dovrà per forza, e per tramite di lei, andare storto. 

E comincerà infatti ad andare storto nel primo atto di Götterdämmerung, allorquando Brünnhilde, pur essendo perfettamente a conoscenza delle sciagure che l'Anello arreca a chi lo possiede, si rifiuterà testardamente di riconsegnarlo al Reno e quindi fallirà in quella che il padre ha appena descritto ad Erda come l'impresa redentrice. Impresa che si compirà molto più tardi, ma solo dopo una serie interminabile di catastrofi… e comunque troppo tardi per Wotan! 

Questo inconscio timore del peggio, legato alla posizione irrimediabilmente compromessa della figlia, da lui messa un tempo a parte del suo disegno, è ciò che ha spinto Wotan a cercar di impedire a Siegfried di raggiungerla(2): una mossa disperata e sommamente disonesta (da qui l'ingloriosa, quanto sacrosanta fine della sua Lancia) in quanto negatrice precisamente di quel libero arbitrio del nipote, che era stata condizione necessaria del suo successo. Un'ennesima, inesorabile e stritolante tenaglia per un dio ormai arrivato al capolinea.
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Note:
1. Wotan qui ha evidentemente rimosso dal suo subconscio un fondamentale particolare: la non immunità della figlia dalla maledizione di Alberich! Poco dopo – al momento di incontrare Siegfried - questo particolare tornerà però ad emergere impietosamente.
2. Finchè l'Anello è al dito di Siegfried, è anche al sicuro da Alberich. Domani, al dito di Brünnhilde, tornerà ad essere portatore di sventure.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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