Senza
pretendere di esaurire l’argomento(1), è però necessario premettere qualche
considerazione generale sui Leit-motive,
in aggiunta a quanto già esposto sommariamente nell’Introduzione. Come detto,
essi non sono semplici etichette, ma rappresentano (meglio: evocano) aspetti
della personalità degli individui, sentimenti e pulsazioni dell’animo, oppure
concetti di valenza universale; come tali possiedono una precisa individualità.
Per cogliere la differenza fra etichetta e sostanza (di personaggio/concetto)
cominciamo col dire che una stessa etichetta può essere appiccicata a cose
estremamente diverse fra loro; un esempio? uno stesso indirizzo di spedizione
può essere apposto su una teca contenente un crotalo e su una cassa contenente
un elefante, due animali che hanno in comune, in questo caso, null’altro se non
la loro destinazione (un qualche zoo, per dire): quell’etichetta non evoca, né
tanto meno descrive in alcun modo quegli animali. Viceversa, uno stesso oggetto,
o soggetto, o sentimento, o concetto può essere evocato in diversi modi: dal
suo aspetto fisico a quello spirituale; da come mangia a come si veste; da
quali relazioni ha con altre entità a come si ripresenta in circostanze diverse;
da come cresce o avvizzisce. E può essere trattato in modo positivo o per negazione,
o per assurdo; e anche mediante combinazioni di tali modi.
Ad
esempio, abbiamo già avuto modo di constatare come il tema che accompagna le
apparizioni della Lancia di Wotan in realtà impersoni ben altro. E abbiamo
concluso ciò proprio analizzando i ripetuti ritorni del tema, constatando che
esso accompagna sì la Lancia (qualche volta, e comunque sempre e solo una
lancia ben precisa, quella di Wotan, non qualunque altra lancia) ma anche e
soprattutto si accompagna ad altro, e cioè a situazioni, esperienze,
comportamenti, azioni, moti dell’animo, e così via... tutti elementi che ci
portano concordemente nella stessa direzione: il Patto, cioè la Legge suprema,
quindi un concetto, anzi una filosofia, un sistema di valori, e non un semplice
oggetto (e così peraltro ci spieghiamo perché, coerentemente, il tema
accompagni anche l’oggetto lancia-di-Wotan,
che di quella filosofia e di quel sistema di valori è solo un’etichetta, un
simbolo, per l’appunto.)
Sappiamo
anche come un’altra peculiare caratteristica dei Leit-motive risieda nel
sapiente impiego che ne fa Wagner. Il quale non si limita a citarli in stretta
e puntuale relazione con la presenza scenica o testuale dei soggetti/concetti
che essi rappresentano/evocano, ma li fa comparire (tipicamente in orchestra,
ma anche nel canto di qualche personaggio) a mo’ di ricordo, o di ammonimento,
o di preconizzazione. La musica può quindi assolvere il compito (negato alla
parola) di rappresentare la sapienza cosmica (di ciò che fu, è e sarà) ed in
particolare anche l’inconscio, o il subconscio, di un individuo.
Bene,
fatte queste premesse, proviamo ad analizzare il tema della Rinunzia, cominciando ad elencare le sue
principali apparizioni e le relative circostanze. Già sappiamo che il tema compare
per la prima volta nel Rheingold sulle parole di Woglinde: “solo chi rinuncia
alla potenza dell’amore…”; poi, sempre nello stesso dramma, riappare più volte,
ma in particolare sulla tremenda perorazione di Alberich “così io maledico
l’amore” e in seguito a sottolineare (con la sua seconda sezione) le indagini sociologiche di Loge, che in
realtà scopre che “nessuno mai rinuncia” (alla donna e al suo valore) e ancora
a descrivere la discesa a Nibelheim, le rivelazioni di Alberich, gli stati
d’animo di dèi e Giganti, etc.
Ma
il momento topico (e il grande rompicapo di molti esegeti) arriva nel primo
atto di Walküre, con quell’inspiegabile ed apparentemente insensata, perché incoerente,
comparsa del tema sulle parole di Siegmund “altissimo bisogno del più sacro
amore…” Ma a che starà mai rinunciando qui Siegmund, visto che l’amore l’ha appena
incontrato e… consumato (nel grandioso duetto con Sieglinde) e adesso si
prepara a conquistare, estraendola dal tronco, anche l’arma invincibile con cui
lo potrà difendere da tutto e da tutti?
Poi
il tema ricompare nell’emozionante addio di Wotan a Brünnhilde e infine, poco
fa, ancora ritorna ad accompagnare l’esclamazione di Siegfried “dovessi pur
morire…” Fra
pochissimo lo udremo ancora, allorquando il ragazzo interpreterà l’esternazione
di Brünnhilde come un invito a rinunciare a lei.
Lo risentiremo anche in Götterdämmerung, in bocca a Brünnhilde al momento di negare a Waltraute la restituzione dell’anello al Reno, dove il tema accompagnerà le parole “l’amore non lo lascio” (caschi il mondo!) Anche qui in modo assai contraddittorio, visto che accompagna precisamente la negazione della rinuncia, la sua piena antitesi…
Lo risentiremo anche in Götterdämmerung, in bocca a Brünnhilde al momento di negare a Waltraute la restituzione dell’anello al Reno, dove il tema accompagnerà le parole “l’amore non lo lascio” (caschi il mondo!) Anche qui in modo assai contraddittorio, visto che accompagna precisamente la negazione della rinuncia, la sua piena antitesi…
Adesso,
a meno di non voler prendere Wagner per pazzo, o scriteriato, o incoerente, non
possiamo – e dobbiamo – far altro che trovare il fil rouge che “tiene insieme” tutte queste diverse (e a prima vista
contraddittorie) apparizioni del tema. Quindi: collegare la “rinunzia alla
potenza dell’amore” con la “maledizione dell’amore”, poi con “l’estremo bisogno
di amore” e ancora con la “rinunzia alla vita, pur di avere l’amore” e infine
con il morboso attaccamento all’amore…
Cominciamo
con Alberich e poniamoci una domanda fondamentale: cos’è che porta il nano a maledire l’amore? Immediatamente: il
desiderio di potenza, la volontà di procurarsi il dominio e il piacere
attraverso l’oro(2). Ma invece, remotamente: il naturale, irresistibile e
violento bisogno di amore(3), amore che
lui maledice solo nel momento in cui esso gli viene negato e gli risulta non
conseguibile (quante volte accade che l’odio, per qualcuno o qualcosa, subentri
ad un grande amore, o desiderio frustrato?(4)) Al solito, è la musica a chiarirci
tutto: le tre note su cui Alberich proclama: “So verfluch…”, così io maledico
(l’amore) che costituiscono una sezione del tema della Rinunzia, sono
esattamente le stesse (scala di DO minore: MIb-RE-DO) sulle quali Woglinde aveva
cantato “Minne Macht…”, la potenza dell’amore. Quindi: anche Alberich è stato
soggiogato dalla potenza dell’amore, ma ora lo deve maledire, poichè l’amore – la
cui potenza ha costretto anche lui, un elfo anonimo, a sperimentarne l’altissimo bisogno - gli è stato poi negato.
Interessante sarà notare che Woglinde parla di rinuncia, mentre Alberich non
rinuncia, bensì maledice (cosa assai diversa, si dovrà pur ammettere). Già,
perché la decisione di Alberich, invero, non è affatto determinata da una
“libera scelta” (fra amore e oro) ma da una tremenda e insopportabile costrizione,
impostagli precisamente dalla potenza dell’amore, una volta che questo si è rivelato
per lui irraggiungibile! Si vede quindi bene come il tema della rinunzia all’amore (o addirittura della sua
maledizione) contenga in se stesso
anche il concetto di bisogno di amore,
di cui è – nel caso di Alberich - nientemeno che l’effetto…
Il
quale altissimo bisogno di amore è
invece - per Siegmund - soddisfacibile, ed anzi pienamente soddisfatto, ma tale
soddisfacimento gli comporta un gravissimo rischio (avendo lui infranto, peccando
di adulterio ed incesto, le leggi codificate e le sacre tradizioni del focolare
domestico) e Siegmund sa - fin dagli anni della convivenza col “padre lupo”,
nella foresta - di dover difendere la sua conquista a spada tratta (anzi… estratta, dal tronco!) Nello stesso istante
in cui lui ha raggiunto la felicità dell’amore e la sicurezza garantitagli
dalla spada, è il suo subconscio (o
la sapienza cosmica, non fa molta differenza, chè questo è il ruolo che Wagner
assegna ai suoi Leit-motive!) a preparare noi (prima ancora di Siegmund) ad una
imminente rinunzia (anche questa in
realtà conseguenza non di scelta, ma di costrizione, il volere di Wotan, anzi di... Fricka). E quando
dovrà forzatamente rinunciare alla vita, Siegmund rinuncerà in piena coscienza
anche all’immortalità offertagli da Brünnhilde, pur di non lasciare la sua
donna e il suo amore, arrivando al punto da decidersi persino a sopprimerli! Specularmente,
rispetto ad Alberich, qui si vede come il nostro tema (che potremmo
ri-etichettare della necessità di amore)
contenga anche il concetto di (imminente) rinunzia,
alla vita, e quindi all’amore medesimo!
Poco
fa Siegfried, interpretando perfettamente la sua indole naif ed anche la sua natura di incosciente scapestrato (un bad-boy, direbbero oggi in America…) arriva
subito alla drastica conclusione, del tipo: o
la va, o la spacca… anche a costo di rinunciare
alla vita(5), voglio succhiare l’amore
dalle labbra di questa donna, perdio! Anche qui: rinunzia e amore!
Le
vicende di Siegmund e Siegfried sono abbastanza simili, rispetto al rapporto che
possiamo definire di amore-morte
(quindi, rinuncia all’amore): quando l’amore viene cercato e poi conquistato e
vissuto, ciò crea direttamente le condizioni di pregiudizio per la vita, ergo
per l’amore(6). La cosa è evidente per Siegmund, che si è cacciato in seri guai
per questioni di corna e di incesto(7), ma come ci dobbiamo spiegare il fatto
che, al risveglio dopo l’inebriante ultima - e magari anche unica? - notte
d’amore, Siegfried e Brünnhilde si separino(8), creando in tal modo i
presupposti per la successiva catastrofe, loro propria e dell’intero cosmo?
Ecco:
l’amore è un assoluto, e come tale non
può essere pienamente conseguito, una volta per tutte, nel mondo materiale; la
qual cosa, perciò, reclama sempre “neue Taten”, nuove imprese(9) che diano
alimento all’amore medesimo e ne rendano meritevole l’uomo (e non solo agli occhi
della donna!) Ma ciò comporta appunto anche la separazione dall’oggetto stesso
dell’amore e addirittura il rischio di perdita della vita, e con essa
dell’amore! Sarà il caso di ricordare di passaggio che questo “vivere
pericolosamente” è anche la filosofia di Wotan (padre e nonno dei nostri
Siegmund e Siegfried) che la donna ha potuto avere – evidentemente sotto il
potere dell’amore, se per essa, attenzione! ha rinunciato ad un occhio - ma che non può ritenersi, solo per
questo, “arrivato” e sente un irresistibile impulso al movimento e al
cambiamento (il “Wandel und Wechsel” della seconda scena del Rheingold).
Da
ultima, Brünnhilde. Perché mai esprime col motivo della Rinunzia la sua
testarda decisione di non rinunciare?
Anche qui per lei sta parlando (cantando) il subconscio, o la sapienza cosmica:
che sanno benissimo che, trattenendo con sé l’Anello, Brünnhilde ha
irrimediabilmente segnato il suo destino: guarda caso, appena allontanatasi
Waltraute, lei sarà costretta a rinunciare non solo all’Anello, ma proprio al
suo Siegfried, l’Amore!
E
così abbiamo (forse?) raggiunto quella impossibile “quadratura del cerchio” che
andavamo cercando a proposito del nostro tema tanto controverso. Insomma, detto
brutalmente: l’amore comporta la rinuncia
all’amore!
___
Note:
1. Ci sono interi trattati in
proposito!
2. Detto di passaggio, questo
“postulato” (per me, totalmente falso, come ho anticipato a suo tempo e come
cerco di spiegare in queste righe) è la base fondante di tutto il castello di
accuse di protonazismo mosse a Wagner e di tutte le ridicole (anche se
pretenziosamente spacciate per “scientifiche”) interpretazioni del Ring in
chiave socio-politica, dove il nibelungo Alberich-banchiere-semita è descritto
come il “cancro” che corrompe il puro germanico Wotan-lavoratore-ariano e con
lui l’intera società e cultura tedesca. Ma riprenderemo questo discorso alla
fine di questo scritto.
3. Basta un’occhiata al testo per
rendersi conto della schiettezza e dell’assoluta spontaneità dell’approccio di
Alberich alle ninfe. Per loro (finchè non lo buggerano) ha solo parole ed
espressioni nobili ed accorate. Abbiamo già notato come più tardi anche Loge,
riferendone agli altri dèi, ammetterà che il nano cercava amore e, solo dopo
essere stato dileggiato dalle ninfe, per disperazione, si è votato al potere
dell’oro.
4. Ovviamente accade spesso anche
l’opposto, come Wagner ci descriverà da par suo nel Tristan.
5. Siegfried riprenderà l’argomento
all’inizio del terzo atto del Götterdämmerung, nel dialogo con le Ninfe.
6. Nell’interminabile duetto del secondo atto di Tristan il
concetto verrà riproposto in modo sconvolgente.
7. Gli “scientifici” assertori
dell’identità Wagner-razzismo-nazismo dovrebbero spiegare come mai i suoi più
autorevoli esponenti (tralasciamo pure i poco “esemplari” ghibicunghi) della
razza “ariana-germanica” (da Wotan a Siegmund) si macchino di peccati
altrettanto grandi ed inconfessabili di quelli dei pretesi Untermenschen “semiti-nibelunghi”.
8. Riprenderemo questo discorso
commentando la seconda scena del Prologo di Götterdämmerung…
9. Non si può vivere sugli allori, recita un antico adagio. Una celebre – e assai
contestata – canzonetta di Adriano Celentano contiene una “versione per il
volgo” di questo capitale concetto: ”Chi non lavora, non fa l’amore”. La Parabola dei Talenti ne è la versione
biblica. Se invece vogliamo restare “nei piani alti“ dell’arte, ci basterà una
facile citazione: Don Quixote.
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