30 dic 2012

4.3.3.3 Siegfried, Atto III, Scena III – La Rinunzia: un tema controverso.


Senza pretendere di esaurire l’argomento(1), è però necessario premettere qualche considerazione generale sui Leit-motive, in aggiunta a quanto già esposto sommariamente nell’Introduzione. Come detto, essi non sono semplici etichette, ma rappresentano (meglio: evocano) aspetti della personalità degli individui, sentimenti e pulsazioni dell’animo, oppure concetti di valenza universale; come tali possiedono una precisa individualità. Per cogliere la differenza fra etichetta e sostanza (di personaggio/concetto) cominciamo col dire che una stessa etichetta può essere appiccicata a cose estremamente diverse fra loro; un esempio? uno stesso indirizzo di spedizione può essere apposto su una teca contenente un crotalo e su una cassa contenente un elefante, due animali che hanno in comune, in questo caso, null’altro se non la loro destinazione (un qualche zoo, per dire): quell’etichetta non evoca, né tanto meno descrive in alcun modo quegli animali. Viceversa, uno stesso oggetto, o soggetto, o sentimento, o concetto può essere evocato in diversi modi: dal suo aspetto fisico a quello spirituale; da come mangia a come si veste; da quali relazioni ha con altre entità a come si ripresenta in circostanze diverse; da come cresce o avvizzisce. E può essere trattato in modo positivo o per negazione, o per assurdo; e anche mediante combinazioni di tali modi.

Ad esempio, abbiamo già avuto modo di constatare come il tema che accompagna le apparizioni della Lancia di Wotan in realtà impersoni ben altro. E abbiamo concluso ciò proprio analizzando i ripetuti ritorni del tema, constatando che esso accompagna sì la Lancia (qualche volta, e comunque sempre e solo una lancia ben precisa, quella di Wotan, non qualunque altra lancia) ma anche e soprattutto si accompagna ad altro, e cioè a situazioni, esperienze, comportamenti, azioni, moti dell’animo, e così via... tutti elementi che ci portano concordemente nella stessa direzione: il Patto, cioè la Legge suprema, quindi un concetto, anzi una filosofia, un sistema di valori, e non un semplice oggetto (e così peraltro ci spieghiamo perché, coerentemente, il tema accompagni anche l’oggetto lancia-di-Wotan, che di quella filosofia e di quel sistema di valori è solo un’etichetta, un simbolo, per l’appunto.)

Sappiamo anche come un’altra peculiare caratteristica dei Leit-motive risieda nel sapiente impiego che ne fa Wagner. Il quale non si limita a citarli in stretta e puntuale relazione con la presenza scenica o testuale dei soggetti/concetti che essi rappresentano/evocano, ma li fa comparire (tipicamente in orchestra, ma anche nel canto di qualche personaggio) a mo’ di ricordo, o di ammonimento, o di preconizzazione. La musica può quindi assolvere il compito (negato alla parola) di rappresentare la sapienza cosmica (di ciò che fu, è e sarà) ed in particolare anche l’inconscio, o il subconscio, di un individuo.   

Bene, fatte queste premesse, proviamo ad analizzare il tema della Rinunzia, cominciando ad elencare le sue principali apparizioni e le relative circostanze. Già sappiamo che il tema compare per la prima volta nel Rheingold sulle parole di Woglinde: “solo chi rinuncia alla potenza dell’amore…”; poi, sempre nello stesso dramma, riappare più volte, ma in particolare sulla tremenda perorazione di Alberich “così io maledico l’amore” e in seguito a sottolineare (con la sua seconda sezione) le indagini sociologiche di Loge, che in realtà scopre che “nessuno mai rinuncia” (alla donna e al suo valore) e ancora a descrivere la discesa a Nibelheim, le rivelazioni di Alberich, gli stati d’animo di dèi e Giganti, etc.

Ma il momento topico (e il grande rompicapo di molti esegeti) arriva nel primo atto di Walküre, con quell’inspiegabile ed apparentemente insensata, perché incoerente, comparsa del tema sulle parole di Siegmund “altissimo bisogno del più sacro amore…” Ma a che starà mai rinunciando qui Siegmund, visto che l’amore l’ha appena incontrato e… consumato (nel grandioso duetto con Sieglinde) e adesso si prepara a conquistare, estraendola dal tronco, anche l’arma invincibile con cui lo potrà difendere da tutto e da tutti?

Poi il tema ricompare nell’emozionante addio di Wotan a Brünnhilde e infine, poco fa, ancora ritorna ad accompagnare l’esclamazione di Siegfried “dovessi pur morire…” Fra pochissimo lo udremo ancora, allorquando il ragazzo interpreterà l’esternazione di Brünnhilde come un invito a rinunciare a lei.

Lo risentiremo anche in Götterdämmerung, in bocca a Brünnhilde al momento di negare a Waltraute la restituzione dell’anello al Reno, dove il tema accompagnerà le parole “l’amore non lo lascio” (caschi il mondo!) Anche qui in modo assai contraddittorio, visto che accompagna precisamente la negazione della rinuncia, la sua piena antitesi…

Adesso, a meno di non voler prendere Wagner per pazzo, o scriteriato, o incoerente, non possiamo – e dobbiamo – far altro che trovare il fil rouge che “tiene insieme” tutte queste diverse (e a prima vista contraddittorie) apparizioni del tema. Quindi: collegare la “rinunzia alla potenza dell’amore” con la “maledizione dell’amore”, poi con “l’estremo bisogno di amore” e ancora con la “rinunzia alla vita, pur di avere l’amore” e infine con il morboso attaccamento all’amore…

Cominciamo con Alberich e poniamoci una domanda fondamentale: cos’è che porta il nano a maledire l’amore? Immediatamente: il desiderio di potenza, la volontà di procurarsi il dominio e il piacere attraverso l’oro(2). Ma invece, remotamente: il naturale, irresistibile e violento bisogno di amore(3), amore che lui maledice solo nel momento in cui esso gli viene negato e gli risulta non conseguibile (quante volte accade che l’odio, per qualcuno o qualcosa, subentri ad un grande amore, o desiderio frustrato?(4)) Al solito, è la musica a chiarirci tutto: le tre note su cui Alberich proclama: “So verfluch…”, così io maledico (l’amore) che costituiscono una sezione del tema della Rinunzia, sono esattamente le stesse (scala di DO minore: MIb-RE-DO) sulle quali Woglinde aveva cantato “Minne Macht…”, la potenza dell’amore. Quindi: anche Alberich è stato soggiogato dalla potenza dell’amore, ma ora lo deve maledire, poichè l’amore – la cui potenza ha costretto anche lui, un elfo anonimo, a sperimentarne l’altissimo bisogno - gli è stato poi negato. Interessante sarà notare che Woglinde parla di rinuncia, mentre Alberich non rinuncia, bensì maledice (cosa assai diversa, si dovrà pur ammettere). Già, perché la decisione di Alberich, invero, non è affatto determinata da una “libera scelta” (fra amore e oro) ma da una tremenda e insopportabile costrizione, impostagli precisamente dalla potenza dell’amore, una volta che questo si è rivelato per lui irraggiungibile! Si vede quindi bene come il tema della rinunzia all’amore (o addirittura della sua maledizione) contenga in se stesso anche il concetto di bisogno di amore, di cui è – nel caso di Alberich - nientemeno che l’effetto…

Il quale altissimo bisogno di amore è invece - per Siegmund - soddisfacibile, ed anzi pienamente soddisfatto, ma tale soddisfacimento gli comporta un gravissimo rischio (avendo lui infranto, peccando di adulterio ed incesto, le leggi codificate e le sacre tradizioni del focolare domestico) e Siegmund sa - fin dagli anni della convivenza col “padre lupo”, nella foresta - di dover difendere la sua conquista a spada tratta (anzi… estratta, dal tronco!) Nello stesso istante in cui lui ha raggiunto la felicità dell’amore e la sicurezza garantitagli dalla spada, è il suo subconscio (o la sapienza cosmica, non fa molta differenza, chè questo è il ruolo che Wagner assegna ai suoi Leit-motive!) a preparare noi (prima ancora di Siegmund) ad una imminente rinunzia (anche questa in realtà conseguenza non di scelta, ma di costrizione, il volere di Wotan, anzi di... Fricka). E quando dovrà forzatamente rinunciare alla vita, Siegmund rinuncerà in piena coscienza anche all’immortalità offertagli da Brünnhilde, pur di non lasciare la sua donna e il suo amore, arrivando al punto da decidersi persino a sopprimerli! Specularmente, rispetto ad Alberich, qui si vede come il nostro tema (che potremmo ri-etichettare della necessità di amore) contenga anche il concetto di (imminente) rinunzia, alla vita, e quindi all’amore medesimo!

Poco fa Siegfried, interpretando perfettamente la sua indole naif ed anche la sua natura di incosciente scapestrato (un bad-boy, direbbero oggi in America…) arriva subito alla drastica conclusione, del tipo: o la va, o la spacca… anche a costo di rinunciare alla vita(5), voglio succhiare l’amore dalle labbra di questa donna, perdio! Anche qui: rinunzia e amore!     

Le vicende di Siegmund e Siegfried sono abbastanza simili, rispetto al rapporto che possiamo definire di amore-morte (quindi, rinuncia all’amore): quando l’amore viene cercato e poi conquistato e vissuto, ciò crea direttamente le condizioni di pregiudizio per la vita, ergo per l’amore(6). La cosa è evidente per Siegmund, che si è cacciato in seri guai per questioni di corna e di incesto(7), ma come ci dobbiamo spiegare il fatto che, al risveglio dopo l’inebriante ultima - e magari anche unica? - notte d’amore, Siegfried e Brünnhilde si separino(8), creando in tal modo i presupposti per la successiva catastrofe, loro propria e dell’intero cosmo?

Ecco: l’amore è un assoluto, e come tale non può essere pienamente conseguito, una volta per tutte, nel mondo materiale; la qual cosa, perciò, reclama sempre “neue Taten”, nuove imprese(9) che diano alimento all’amore medesimo e ne rendano meritevole l’uomo (e non solo agli occhi della donna!) Ma ciò comporta appunto anche la separazione dall’oggetto stesso dell’amore e addirittura il rischio di perdita della vita, e con essa dell’amore! Sarà il caso di ricordare di passaggio che questo “vivere pericolosamente” è anche la filosofia di Wotan (padre e nonno dei nostri Siegmund e Siegfried) che la donna ha potuto avere – evidentemente sotto il potere dell’amore, se per essa, attenzione! ha rinunciato ad un occhio - ma che non può ritenersi, solo per questo, “arrivato” e sente un irresistibile impulso al movimento e al cambiamento (il “Wandel und Wechsel” della seconda scena del Rheingold).

Da ultima, Brünnhilde. Perché mai esprime col motivo della Rinunzia la sua testarda decisione di non rinunciare? Anche qui per lei sta parlando (cantando) il subconscio, o la sapienza cosmica: che sanno benissimo che, trattenendo con sé l’Anello, Brünnhilde ha irrimediabilmente segnato il suo destino: guarda caso, appena allontanatasi Waltraute, lei sarà costretta a rinunciare non solo all’Anello, ma proprio al suo Siegfried, l’Amore!

E così abbiamo (forse?) raggiunto quella impossibile “quadratura del cerchio” che andavamo cercando a proposito del nostro tema tanto controverso. Insomma, detto brutalmente: l’amore comporta la rinuncia all’amore!
___
Note:
1. Ci sono interi trattati in proposito!
2. Detto di passaggio, questo “postulato” (per me, totalmente falso, come ho anticipato a suo tempo e come cerco di spiegare in queste righe) è la base fondante di tutto il castello di accuse di protonazismo mosse a Wagner e di tutte le ridicole (anche se pretenziosamente spacciate per “scientifiche”) interpretazioni del Ring in chiave socio-politica, dove il nibelungo Alberich-banchiere-semita è descritto come il “cancro” che corrompe il puro germanico Wotan-lavoratore-ariano e con lui l’intera società e cultura tedesca. Ma riprenderemo questo discorso alla fine di questo scritto. 
3. Basta un’occhiata al testo per rendersi conto della schiettezza e dell’assoluta spontaneità dell’approccio di Alberich alle ninfe. Per loro (finchè non lo buggerano) ha solo parole ed espressioni nobili ed accorate. Abbiamo già notato come più tardi anche Loge, riferendone agli altri dèi, ammetterà che il nano cercava amore e, solo dopo essere stato dileggiato dalle ninfe, per disperazione, si è votato al potere dell’oro.   
4. Ovviamente accade spesso anche l’opposto, come Wagner ci descriverà da par suo nel Tristan.
5. Siegfried riprenderà l’argomento all’inizio del terzo atto del Götterdämmerung, nel dialogo con le Ninfe.
6. Nell’interminabile duetto del secondo atto di Tristan il concetto verrà riproposto in modo sconvolgente. 
7. Gli “scientifici” assertori dell’identità Wagner-razzismo-nazismo dovrebbero spiegare come mai i suoi più autorevoli esponenti (tralasciamo pure i poco “esemplari” ghibicunghi) della razza “ariana-germanica” (da Wotan a Siegmund) si macchino di peccati altrettanto grandi ed inconfessabili di quelli dei pretesi Untermenschen “semiti-nibelunghi”. 
8. Riprenderemo questo discorso commentando la seconda scena del Prologo di Götterdämmerung…
9. Non si può vivere sugli allori, recita un antico adagio. Una celebre – e assai contestata – canzonetta di Adriano Celentano contiene una “versione per il volgo” di questo capitale concetto: ”Chi non lavora, non fa l’amore”. La Parabola dei Talenti ne è la versione biblica. Se invece vogliamo restare “nei piani alti“ dell’arte, ci basterà una facile citazione: Don Quixote.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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