15 apr 2017

5.4.3.7 Götterdämmerung: Atto III – Scena III – Come finisce?


Intanto facciamo un’osservazione non secondaria: fra il tema del Crepuscolo e le ultime sette misure, occupate dalla conclusiva cadenza sul tema della Redenzione (e dove la didascalìa ci avverte che gli dei sono ormai completamente avvolti dalle fiamme) c’è una impercettibile cesura rappresentata, sulla partitura, dall’assenza di qualunque “legato” a cavallo della barretta verticale. Però attenzione: non è certamente una “corona puntata”, e nemmeno un “apostrofo” (di respiro) quindi non è in alcun modo una “pausa” (come molti direttori tendono invece ad interpretare).

Quindi non ci dice che un mondo è finito, punto, e adesso ne comincia un altro nuovo di zecca, con tanto di redenzione dai peccati del vecchio: ci dice invece che il mondo che viene è la diretta continuazione di quello che è appena andato in rovina. E, manco a dirlo, è ancora e sempre la musica a darcene inequivocabile conferma.  

Analizziamo allora queste ultime sette misure della sterminata partitura: esse sono occupate dal tema della Redenzione(1) in violini e flauto (4 misure) che porta all’accordo finale (3 misure) di REb. Apparentemente sembra la pura e semplice riesposizione di una melodia ottimistica e beneaugurante, ma in realtà la partitura d’orchestra contiene mille riferimenti e reminiscenze, quasi a condensarvi l’intero Ring!

Innanzitutto c’è l’accompagnamento dei bassi, con una discesa, nella prima misura, che ci ricorda la chiusa del Walhall, che sta appunto bruciando. Tornando al tema: dopo l’equivoca caduta di settima(2), dal REb sul MIb abbiamo una risalita (da qui, solo nei violini) sull’intera scala di REb, fino alla tonica, da cui si ricade giù sul MIb. Questa risalita è in realtà un frammento di due terzine – ciascuna scritta per i violini in ottavi, ma su un quarto del tempo dell’orchestra - che si trova nell’esposizione originale del tema nella Walküre, ma che qui richiama scopertamente il Grido di allegria delle Figlie del Reno dell’inizio atto, là risalendo, in tonalità SOL, da tonica a sesta, qui da sopratonica a sensibile. Risalita che si ripete una seconda volta, fino al REb e ancora seguita da una terza ricaduta all’ingiù, quasi che la reminiscenza della “maledizione dell’amore” di Alberich volesse impedire il compimento dell’impresa… Sulle prime due cadute, ottoni e legni suonano però la seconda maggiore discendente (il tema del Canto delle Figlie del Reno) già associata (nel racconto di Waltraute del primo atto, e poco fa nell’esortazione di Brünnhilde) al Wotan che sogna la restituzione dell’Anello al Reno, come strumento di salvezza per lui e per i suoi. Infine, tornando ai violini: dalla sopratonica, un salto di ottava ascendente, quasi fosse un disperato colpo di reni, ci innalza al MIb superiore, con un’armonizzazione (si badi bene: ottenuta facendo scendere tutti i fiati, flauti esclusi, di una “seconda minore”, SIb-SIbb… la Schiavitù!!!) di SOLb minore, a creare così un accordo di sesta minore, che ci ricorda chiaramente l’Anello (!) essendo costituito con le note di quel tema, ma che è, allo stesso tempo, caratteristico di altri consolanti epiloghi wagneriani(3).

In sostanza, in sole quattro misure Wagner ci ricapitola: la speranza (mal) riposta in Siegfried, il Walhall, l’amore maledetto da Alberich, le Figlie del Reno, la speranza di salvezza di Wotan, la schiavitù e l’Anello!

Di fatto: il mondo che nasce si porta dietro tutti i cromosomi di quello che muore.

Poi da qui, con l’ulteriore salita dei violini alla dominante LAb, il Ring si chiude con tre misure in cui l’intera orchestra canta, dapprima fortissimo, e poi diminuendo, l’accordo di REb maggiore, a rappresentarci un cosmo straordinariamente arricchitosi di contenuti (i suoni di tutti gli strumenti - esclusi solo triangolo, piatti e tamtam) ma degradato (di un tono pieno!) rispetto al primordiale Ginnungagap
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Note:
1. Fra poco, nel Commiato, torneremo su questo controverso tema e sui significati della chiusa del Ring.
2. Abbiamo già a suo tempo rilevato come questo intervallo compaia nella “maledizione dell’Amore” di Alberich (Rheingold, Scena I).
3. Precisamente: Tristan e poi Holländer (versione 1860-64) ma anche Eine Faust-Ouverture.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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