15 gen 2013

4.3.3.6 Siegfried, Atto III, Scena III – La crisi di Brünnhilde.


Dopo averci magistralmente raccontato dell’autentica paura(1) che un selvaggio ed ingenuo adolescente prova nel trovarsi di botto e per la prima volta di fronte al diverso da sè,  quel  Freud-ante-litteram che risponde al nome di Richard Wagner passa ora a spiegarci lo stato d’animo - che non è tanto di paura, quanto di profonda tristezza (per non dire di angoscia) – che caratterizza la donna di fronte alla prospettiva della perdita della verginità.(2)

Però la diversa reazione di Brünnhilde è anche determinata dal suo essere sapiente, legato alla traumatizzante esperienza da lei vissuta dapprima nel venir messa a parte di tutti i segreti, i problemi e le ansie cosmiche del padre, e poi nello scoprire – in Siegmund e Sieglinde - il potere supremo dell’amore umano e allo stesso tempo la pericolosità che ad esso è strettamente legata.(3)

Ah, com’era bello e facile – perché non gravato da alcuna responsabilità – il tempo in cui lei scorrazzava sul suo destriero volante sopra i campi di battaglia per scegliervi i migliori eroi caduti, da trasportare su al Walhall! Ed è proprio la vista di soggetti e di oggetti che ne avevano popolato la vita da adolescente – anteriore cioè a quella sua “presa di coscienza” di fronte a Wotan e poi a Siegmund - che innesca la crisi di Brünnhilde, di cui ora assisteremo al precipitare, mentre Siegfried non farà che accendersi sempre di più di desiderio carnale per la donna, fino a “metterle le mani addosso” e a provocarne una reazione tanto inaspettata quanto violenta. 

C’è un continuo “crescendo” nella mutazione dello stato d’animo di  Brünnhilde, che passa dalla gioia incontenibile provata dopo il risveglio all’angoscia per il futuro che lei – un tempo semi-divina - dovrebbe ora vivere da semplice “donna”. Ed è un crescendo che passa inizialmente da tre tappe ben precise.  

Dapprima lei, incurante dell’agitazione che ha invaso l’animo di Siegfried (che le sta dinanzi quasi con la bava alla bocca) volge lentamente e dolcemente lo sguardo verso Grane, che si è anche lui risvegliato, evidentemente per simpatia con la padroncina(4). Qui il suo atteggiamento sembrerebbe ancora orientato alla gioia, come testimoniano il motivo dell’Estasi d’amore che accompagna le sue parole “wie weidet er munter, der mit mir schlief!” (come pascola allegramente, colui che con me dormì) e quello della cavalcata. Ma l’orchestra, con il suo potere di “anticipazione” ci ha fatto ascoltare appena prima e per due volte (in violini secondi e viole, appoggiatoo su DOb e DO) nientemeno che l’incipit del tema del Malcontento di Wotan e (nel corno inglese) quello, per di più storpiato, della Fatalità ineluttabile. E la frase di Brünnhilde si chiude con i violoncelli che espongono un Saluto d’amore che vira decisamente verso il triste. Insomma, chiari indizi di una qualche ombra che sta invadendo la psiche della ragazza.

Siegfried sembra quasi non darle retta, e raccogliendo il motivo dell’Estasi d’amore continua a proclamare apertamente la sua “sete di baci”, seguito da violini primi e violoncelli che ci fanno udire una variante del motivo della Gioia d’amore.

Ma ora eccoci al secondo gradino del progressivo intristirsi di Brünnhilde: lei guarda mestamente elmo e scudo, che più non la proteggono, e rimpiange il tempo in cui li indossava e impiegava durante le sue scorribande sui campi di battaglia. E lo canta su una doppia ripetizione dell’accompagnamento orchestrale della sua precedente esternazione: motivo del Malcontento (REb-RE e poi MIb-MI) e motivo della Fatalità (stavolta nell’oboe). Ancora il Malcontento suggella il suo lamento.

Siegfried insiste (da qui la dinamica del suo canto è prescritta come feurig, ardente) su un’ennesima variante della Gioia d’amore: tu mi hai ferito il cuore e il cervello, sono io ad essere arrivato fin quassù senza scudo, né elmo (“…ich kam ohne Schild und Helm!”)(5)

Brünnhilde (“con crescente malinconia” ci avverte una nota del libretto) ora giunge al culmine della sua desolazione, sempre accompagnata dagli incisi del Malcontento:  ecco là la mia corazza, che una spada affilata ha tagliato, lasciandomi in… sottoveste, del tutto indifesa, una povera donna inerme!

Ma Siegfried sente di avere ragioni più solide: sempre sullo scatenarsi della Gioia d’amore, proclama: sono io che ho attraversato il fuoco che ti circonda senza alcuna difesa; e adesso quel fuoco (Loge qui fa capolino) mi è entrato in corpo, e sei tu che lo devi spegnere! E su queste parole le salta letteralmente addosso cercando di abbracciarla appassionatamente.

Ella dà un balzo, respingendolo con tutte le forze dell'angoscia(6) (!) Nessuno, nemmeno un dio, ha mai osato toccarmi e gli eroi si inchinavano di fonte a me: immacolata (“heilig”, un’ottava discendente, dal MIb) ho lasciato il Walhall! E su queste ultime parole sette corni, con parti divise, intonano ora in LAb la chiusa del motivo della rocca, coronata da un arpeggio ascendente del clarinetto che sosta sulla mediante DO.

L’oboe bruscamente interviene abbassando la tonalità al modo minore (DOb) poiché  Brünnhilde esplode in un lacerante lamento: ahimè, ahimè (due seste discendenti, dal MIb e poi dal MI naturale); ah, vergogna e pena! Chi mi svegliò mi ha anche ferita, ha spezzato le mie difese. Clarinetto basso, fagotti e violoncelli espongono una figurazione discendente mutuata dal tema del Crepuscolo, quello che la ragazza sente calare su di sè: io non sono più Brünnhilde!

Siegfried è proprio sbigottito e incredulo; forse, le dice, stai ancora sognando, ancora ti devo svegliare del tutto: destati, e diventa donna per me!

Ma Brünnhilde ormai è caduta in una specie di depressione psichica e fisica: mi gira la testa, sto per caso perdendo il mio senno?

Siegfried cerca di rianimarla, ricordandole che lei poco prima gli aveva detto che la sua sapienza era fondata proprio sull’amore per lui. E non a caso lo canta sul tema dell’Eredità del mondo, che aveva accompagnato quell’esternazione di Brünnhilde.

Ma ormai la ragazza è preda dei più cupi presentimenti, e a sottolineare la sua autentica angoscia sono (nientemeno!) che tre motivi a dir poco spaventevoli: (a.) quello della Disperazione di Wotan, (b.) quello della Maledizione di Alberich e (c.) quello della Collera di Fricka (più un fugace accenno alla Schiavitù…) E come sempre non sono buttati qui da Wagner per puro caso e senza ragione: essi erano comparsi insieme, come ora, precisamente all’inizio del drammatico faccia-a-faccia di Brünnhilde con Wotan (Walküre, seconda scena del second’atto); là a marcare la totale disperazione del dio, che aveva appena visto crollare miseramente il suo grande disegno, concepito alla fine del Rheingold.

Ancora una volta: è il subconscio di Brünnhilde (alimentato dalla sua sapienza) che le fa e ci fa presagire che la sua unione con Siefgried può compromettere tutto: sì, perché il ragazzo – il quale è il frutto, sia pure incolpevole, del colpevole rapporto fra Siegmund e Sieglinde, che aveva scatenato la (c.) Collera di Fricka - reca al dito l’anello su cui pesa la (b.) Maledizione di Alberich! E sarà precisamente la “contaminazione” di Brünnhilde con l’Anello ad avviare il processo di materializzazione finale della (a.) Disperazione di Wotan! Non per nulla la chiusa di questa esternazione di Brünnhilde – che si copre gli occhi con le mani - ci ricorda da vicino quella del padre, nella suddetta scena della Walküre (sull’imprecazione “Götternoth!”)   

Siegfried (che pare improvvisamente diventato uno psicologo!) cerca di convincere Brünnhilde che il suo è semplicemente un brutto sogno: le toglie le mani dagli occhi e la invita a godere della luce del giorno. E lo fa facendosi aiutare dal tema dell’Eredità del mondo e poi dalla chiusa di quello del Saluto al mondo, sul verso “sonnenhell leuchtet der Tag!”, il giorno risplende della luce solare, che chiude in SOL, su un accordo di nona sulla dominante di SIb. Per Brünnhilde quello è invece il giorno della sua vergogna: impressionante, sul “Sonnenhell”, la salita della voce al SOL# e successiva caduta al DO.

Ma dopo la parola “Schmach”, vergogna, ecco apparire - mentre la fanciulla implora Siegfried: “Vedi la mia angoscia!” - il tema della sua Giustificazione. Cosa ci può rappresentare qui? Forse comincia nell’animo della ex-valchiria a riaffiorare, appunto, la motivazione originaria delle sue azioni: la compassione per Siegmund, la decisione di disobbedire al padre, la sollecitudine mostrata verso Sieglinde e la creatura che si portava in grembo, e che ora le sta davanti? Forse si sta convincendo che la sua unione con Siegfried possa espiare la grave colpa del padre nei confronti dei due gemelli-amanti?   
___
Note:
1. La “paura della vagina” ha origini millenarie, e come al solito sarà studiata e indicata da Freud – molti anni dopo Wagner! - come uno dei tanti sintomi della cosiddetta “angoscia da castrazione”.    
2. L’intero scenario è carico di simboli che rimandano al sesso e all’atto sessuale: dalla montagna di Brünnhilde circondata dal fuoco (un Venusberg post-litteram…) fino alla spada di Siegfried che vìola la corazza della donna. 
3. Anche qui possiamo individuare una chiara allegoria: la sapienza della femmina, e il suo "maturare" prima del maschio, le derivano dalla naturale quanto traumatizzante esperienza del manifestarsi del ciclo mestruale.
4. Nella Walküre Wagner si era giustamente astenuto dal fornirci particolari sull’addormentamento dell’equino in contemporanea a quello della padroncina: in quel mirabile scenario sarebbe stata davvero una pagliacciata. Nel finale di Götterdämmerung invece anche Grane avrà la sua bella evidenza, portandosi in groppa dentro alla pira infuocata la sua Brünnhilde, e condividendone l’olocausto.  
5. È chiaro qui il senso figurato dell’affermazione di Siegfried: egli era indifeso psicologicamente, del tutto impreparato ad affrontare la situazione. Nella realtà, lui è sì senza scudo, ma ha sicuramente il Tarnhelm…
6. Così Guido Manacorda traduce la didascalìa di Wagner.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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