5 set 2015

5.2.3.2 Götterdämmerung: Atto I – Scena III: Il peccato di Brünnhilde


Ci eravamo soffermati poco fa (nel Prologo) sul rapporto di Brünnhilde con l’Anello, sottolineando il fatto che lei ne conosce alla perfezione tutti i retroscena ed è anche informata della serietà della maledizione che grava su di esso: che due precedenti proprietari, i Giganti, ne siano già stati vittime glielo hanno riferito Wotan (nella Walküre, per Fasolt) e Siegfried medesimo nel citato Prologo (per Fafner). Ma allora, perchè mai Brünnhilde non decide di liberarsene in tempo, ma compirà il nobile gesto solo alla fine del Ring, e per di più “in ritardo” rispetto al fuoco di Loge che avvolgerà Wotan e tutti gli dèi?

La sua spiegazione a Waltraute è convincente solo fino ad un certo punto: vero è che a lei l’anello è stato donato come pegno d’amore, quindi in modo sicuramente disinteressato, da parte di un uomo che ne ignora oltretutto le drammatiche proprietà; ma è pur vero che a lei tali proprietà sono perfettamente conosciute. Vero altresì è che lei non ha la minima intenzione di impiegare alcuna delle prerogative dell’Anello: non ha mire di potenza economica, né di dominio politico, e nemmeno si limita a godere del puro piacere estetico, tutto personale, di portare al dito un gioiello prezioso. No, per lei quell’anello ha esclusivamente un significato affettivo: rappresenta il suo Amore, l’amore che lei nutre per Siegfried e l’amore che Siegfried le ricambia.

Allora potremmo domandarci se il suo rifiuto a cederlo al Reno - col che verrebbe neutralizzato tutto il male cosmico che quell’Anello trascina con sé - sia di natura viscerale o razionale. Se cioè Brünnhilde agisca emotivamente, sotto l’irresistibile impulso dei sentimenti, o se invece lei non stia commettendo razionalmente un atto di presunzione, come Wotan prima, Fasolt e Fafner poi: pensare cioè di poter “controllare” le proprietà dell’anello, di poterlo trattenere con sè, per così dire, “a fin di bene”.

Ma in fondo si tratterebbe di una domanda stucchevole, poiché la maledizione di Aberich non può certo fare sconti di alcun tipo, per definizione, e tanto meno ne può fare proprio nel caso di Brünnhilde, dove l’Anello è strettamente connessso all’Amore. E ciò per una semplicissima ed evidentissima ragione: l’intima natura di quell’Anello, la sua stessa causa di esistenza, si potrebbe dire, risiede precisamente nella negazione dell’Amore. E così anche la povera (ingenua o presuntuosa fa lo stesso) Brünnhilde sperimenterà prestissimo le conseguenze del suo rifiuto a liberarsi di quello spregevole oggetto.

Manco a dirlo, è la musica che si incarica di chiarirci ogni dubbio: ci basta ascoltare la frase che Brünnhilde canta per sancire in modo definitivo il suo rifiuto a liberarsi dell’Anello in nome dell’Amore, subito prima di cacciare la sorella (“die Liebe liesse ich nie, mir nähmen nie sie die Liebe”, l'amore mai io non potrei lasciare, l'amore mai non mi potrebbero levare). Noteremo come il tema della Rinunzia (sempre in DO minore) sfoci imprevedibilmente in un’imperiosa e ottimistica impennata, dal LAb fino al FA sovrastante. Ma quell’impennata è purtroppo anche sommamente velleitaria, se è vero che è seguita immediatamente, proprio sull’ultimo Liebe, dalla settima discendente (FA-SOL) che ricorda sì l’Amore, ma anche e soprattutto l’Amore maledetto, causa diretta e unica della fabbricazione dell’Anello da parte di Alberich!

Parafrasando il proclama che Sachs lancia alla fine dei Meistersinger, Brünnhilde sbotta: ma che se ne vada pure in rovina il Walhall con tutta la sua pompa! e il tema del Walhall sembra proprio cadere a pezzi, reiterando la sezione discendente, incapace di percorrere quella ascendente. Waltraute non crede alle proprie orecchie, e il tema della Maledizione accompagna le sue rimostranze alla sorella, che le risponde – sullo stesso tema! come a respingere la maledizione al mittente – per cacciarla in modo brutale, e definitivo. E per sopramercato le tira dietro pure due secche repliche del tema della Collera!

A Waltraute non resta che gridare: guai! a tutti! E poi, su colossali apparizioni del motivo della Frustrazione, corre ad inforcare il suo ippogrifo per tornarsene, accompagnata da spezzoni di Cavalcata e Grido di guerra, a mani vuote al Walhall. Ma anche per Brünnhilde, l’inizio della fine è ormai questone di… pochi secondi.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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