9 set 2015

5.2.3.4 Götterdämmerung: Atto I: facciamo le pulci a Wagner


L’atto testè conclusosi contiene una serie di fatti e di comportamenti dei protagonisti che sollevano parecchie perplessità riguardo al realismo e alla stessa logicità di ciò cui assistiamo, elementi che invece dovrebbero essere necessariamente e sempre rispettati in un lavoro come il Ring, che programmaticamente intende essere una grande, oltre che multiforme, allegoria. Elementi che invece potevano essere considerati marginali, se non addirittura opzionali, in un lavoro quale doveva essere la Siegfrieds Tod, che sappiamo fu originariamente concepita come singola grande opera eroica, il cui stesso genere autorizzava ampie deroghe al realismo e alla consequenzialità fra cause ed effetti: vi si contemplavano tranquillamente eventi miracolosi o gratuiti, o scorci puramente effettistici, privi di significato compiuto.

Orbene, nel Ring tutto fila (quasi) alla perfezione nelle sue prime tre parti, quelle ideate, scritte e musicate dopo il grande travaglio teorico e filosofico vissuto da Wagner proprio all’indomani della prima stesura della Siegfrieds Tod. Anche gli aspetti magici che incontriamo in Rheingold, Walküre e Siegfried possiedono una loro logica ferrea e incarnano altrettante chiare allegorie: l’anello di Alberich, il Tarnhelm, le mele di Freia, il ponte-arcobaleno (Rheingold); i cavalli alati delle Valchirie, la lancia di Wotan, il fuoco di Loge (Walküre); il sangue del drago e la voce dell’Uccellino (Siegfried) sono tutti oggetti o accadimenti che, per quanto miracolosi, mai sono gratuiti o illogici, mentre servono perfettamente ai fini estetici e filosofici che l’Autore si è proposto di perseguire.

Non così, purtroppo, in Götterdämmerung, nonostante gli sforzi che Wagner profuse per far mutar pelle alla Siegfrieds Tod, divenuta ora l’atto conclusivo di quella gigantesca allegoria che è il Ring.

Abbiamo già fatto notare – e ci torneremo fra poco, nell’atto secondo - l’alta improbabilità dell’intera macchinazione di Hagen, che si fonda sul materializzarsi di una combinazione di eventi e di comportamenti quanto meno inverosimile, eventi che si manifestano proprio nella scena finale del primo atto, cui abbiamo appena assistito. La stessa selettività degli effetti del filtro fatto ingurgitare a Siegfried (perdere la memoria dei soli suoi trascorsi con Brünnhilde, e di null’altro) è caratteristica talmente improbabile da ingenerare mille contraddizioni e da consentire mille incongruenze: è quindi funzionale soltanto a Wagner per indirizzare gli accadimenti a suo piacimento, in modo arbitrario e gratuito.   

Già tutta la storia dei movimenti dell’Anello, che passa da Siegfried a Brünnhilde e poi deve necessariamente tornare a Siegfried (per giustificare il putiferio che ne scaturirà, come si augura Hagen) è piuttosto artificiosa, il che deriva in primo luogo dalla farraginosità dei racconti nordici e germanici da cui Wagner trasse ispirazione(1).

Se ora torniamo alla scena testè conclusa, vi scopriamo purtroppo parecchie magagne. Intanto: da cosa si può dedurre che Siegfried abbia le sembianze di Gunther, come ci informa la didascalia? Difficile dirlo, visto che ha il volto quasi completamente coperto dal Tarnhelm, mentre invece è certo che lui reca con sé due oggetti che Brünnhilde deve conoscere perfettamente: lo scudo, che era stato suo (da lei imbracciato mille volte!) e l’aveva ricoperta durante il suo lunghissimo sonno; e soprattutto la spada, quella che recise i lacci della sua corazza poco prima del risveglio, e che lei ha contemplato benissimo la notte (precedente?) in cui quella medesima spada rimase appesa nella grotta in cui lei ebbe il primo (e unico?) incontro carnale con l’amato (come affermerà nella quarta scena dell’atto secondo); e la Nothung non è mica una spada qualunque, fabbricata in serie e venduta nei grandi magazzini o nei negozi di caccia-e-pesca… accipicchia, è la spada più nobile e preziosa dell’intero universo!

Ora, se è plausibile che Siegfried non si sia posto il problema dei suoi capi di abbigliamento bellico – avendo dimenticato i suoi trascorsi con Brünnhilde - com’è che adesso la donna non riconosce quegli oggetti e non si domanda perché e come siano finiti in possesso di quest’uomo mascherato che le si presenta di fronte? La penombra incombente non sembrerebbe davvero una valida spiegazione. Dobbiamo forse pensare che Siegfried abbia impiegato la magìa del Tarnhelm anche per far cambiare i connotati a scudo e spada? Mah… qui siamo alle solite: quando Wagner scrisse il testo della Siegfrieds Tod presentandoci – nel Prologo - l’eroe armato di tutto punto, ancora non sapeva nemmeno lui da dove sarebbero venuti (Rheingold, poi Siegfried, e Walküre) quei due oggetti in sua dotazione! In seguito precisò (sempre nel Prologo, per bocca di Siegfried) che lo scudo era proprio quello di Brünnhilde, ma evidentemente non pensò alle logiche e inevitabili conseguenze e incongruenze che ciò avrebbe causato alla fine del primo atto.

Quando Brünnhilde gli oppone l’anello, possibile che Siegfried - che dovrebbe aver scordato solo i suoi trascorsi con lei, null’altro - non si domandi perché l’anello da lui raccolto a Neidhöhle (come ripeterà, nella quarta scena dell’atto successivo) si trovi adesso al dito di quella donna?

Alcuni aspetti paradossali della vicenda riguardano il comportamento di Siegfried(Gunther) nella notte che lui deve trascorrere nella grotta con Brünnhilde prima di consegnarla al sodale. Intanto: come si può pensare che lui si faccia una dormita senza che lei ne approfitti per provare a svignarsela? Cosa dobbiamo immaginare: che lui la leghi come un salame, o che barrichi ermeticamente l’ingresso della grotta?

Ma soprattutto: sappiamo che Siegfried non sfiora la donna nemmeno con un dito, ma ciò immediatamente fa insorgere più di una contraddizione. Domandiamoci: visto che lui in quel momento rappresenta in tutto e per tutto Gunther (e ammettendo che il Tarnhelm funzioni come da specifiche tecniche…) perché mai si deve mantenere casto con Brünnhilde, dopo averla eroicamente (ri)conquistata ed averle esplicitamente detto che lì, nella sua stanza, subito, lei dovrà essere sua? In fin dei conti, lei crede che (anche) Gunther, dopo Siegfried, sia stato capace dell’impresa e sa perfettamente che (anche) a lui è tenuta inevitabilmente a soggiacere (e difatti se l’è già presa, per questo, con Wotan). Perciò lei non può non essere sorpresa e non trovare strano, insolito, per nulla plausibile, il comportamento di Gunther! Invece: nulla, neanche una piega. Perché Wagner aveva bisogno, nel prosieguo del dramma, di un Siegfried che avesse pienamente ripettato il patto stipulato con Gunther e si fosse mantenuto fedele a Gutrune.  

Tuttavia la contraddizione più clamorosa - come abbiamo già avuto modo di notare e sulla quale torneremo più avanti - attiene all’anello, che Siegfried ha strappato a Brünnhilde come pegno di nozze per Gunther e che adesso si terrà incomprensibilmente al dito, invece di consegnarlo al cognato, come vorrebbero la logica e quel medesimo rispetto dei patti invocato per mantenere la “castità della notte”…

Insomma, Wagner stesso deve essersi reso conto che c’erano parecchi scricchiolìi in tutta questa storia complicata, ma che purtroppo poteva ormai fare assai poco per mettere ogni tassello al suo posto(2): quindi deve avere accettato, sia pure a malincuore, la presenza delle incongruenze di cui sopra, pur di poter perseguire comunque i suoi obiettivi artistici.
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Note:
1. Cosa ci troviamo, al proposito? Intanto va rilevato ciò che non ci troviamo: l’importanza, per Wagner addirittura capitale, dell’anello, dalla quale discende la complicatissima macchinazione messa in atto da Hagen per venirne in possesso. Nelle leggende l’anello è soltanto il tramite che consente a Brünnhilde di scoprire che il suo liberatore fu Siegfried e non Gunther, niente di più.
·  Snorri (Skaldskaparmal) ci dà questa versione, in se stessa coerente, anche se povera di contenuti drammatici e psicologici: Sigurd(Siegfried) che ha già svegliato Brynhild(Brünnhilde) - senza però unirsi a lei e senza regalarle l’Andvaranaut, l’anello di Andvari(Alberich) - si reca da Gjuki e ne sposa la figlia Gudrun(Gutrune) senza alcun intervento di filtri magici o altro trucco-inganno. Poi conquista Brynhild (nel frattempo protetta dal fuoco) in nome e per conto del cognato Gunnar(Gunther) di cui assume temporaneamente le sembianze. Passa con lei tre notti “caste” (ponendo la sua spada fra sé e la donna). Dona, solo adesso, a Brynhild l’Andvaranaut e riceve in cambio un altro anello d’oro. In seguito, facendo il bagno nel Reno, Brynhild apprende da Gudrun (che le mostra proprio quell’anello da lei donato in cambio dell’Andvaranaut a Sigurd, creduto Gunnar) che il suo conquistatore fu Sigurd e non Gunnar, quindi per vendicarsi fa ammazzare Sigurd. Poi la storia continua su un percorso divergente (per nostra fortuna!) da quello del Ring wagneriano.
·  La Völsunga Saga introduce il filtro magico, che fa scordare a Sigurd il precedente legame con Brynhild. Anche qui c’è il riferimento alla spada usata come “separatore”, mentre si inverte il passaggio di anelli: Brynhild restituisce spontaneamente a Sigurd(Gunnar) l’Andvaranaut, avuto da lui nel primo incontro, anello che poi – al bagno - vede al dito di Gudrun, dalla quale è informata dello scambio Sigurd-Gunnar,  cosa che la porta a condannare Sigurd a morte… 
·  Nel Nibelungenlied, che è la versione germanica delle avventure di Siegfried, non troviamo nulla degli antefatti fra lo stesso e Brünnhilde: la storia parte dal viaggio di Siegfried verso i Burgundi per impalmare Kriemhild. La vicenda della conquista di Brunhild in nome del cognato Gunther (qui niente roccia infuocata, ma la normale residenza di una principessa altera e schizzinosa) è totalmente diversa da come la presenta Wagner, e quanto mai farraginosa e strampalata, comportando sfide ludiche che rimandano caso mai alle vicende di Turandot! L’odio della principessa per Siegfried nasce quando lei scopre che lui aveva truffaldinamente aiutato Gunther a sconfiggerla.
2. Men che meno cercando di attenersi puntualmente a quanto descritto nelle saghe, il che avrebbe significato cadere dalla padella nella brace.  

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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