8 lug 2013

5.1.2.2 Götterdämmerung – Prologo (II): la musica di Siegfried.

  
Non fosse altro che per essere stato l’idea originaria del Ring (la Siegfrieds Tod) il personaggio di Siegfried riveste un ruolo di importanza capitale nella Tetralogia, e di conseguenza i motivi che lo accompagnano lungo le tre giornate della commedia non possono non rivestire altrettanta importanza.   

Anche se ancora manca parecchio alla conclusione del gigantesco affresco, e se li riascolteremo più volte nel corso di quest’ultima giornata, possiamo però cominciare ad avanzare qualche considerazione ed ipotesi sui principali temi che fanno un qualche riferimento a Siegfried.

Escluderemo però in partenza tutti quei temi che evocano sue specifiche azioni o comportamenti, o esternazioni - ad esempio quello del lavoro, dell’esuberanza giovanile, della bramosia dell’amore materno, della decisione d’amare, del desiderio di viaggio, della gioia d‘amore, della gioia di vincere, della libertà - per focalizzare invece l’attenzione su quelli (e sono in pratica soltanto due…) che caratterizzano in modo diretto la persona e la personalità di Siegfried e sull’impiego che Wagner ne fa nel corso delle tre giornate del ciclo.

Quali sono questi motivi? Il primo, tradizionalmente denominato col nome stesso del personaggio, è quello che ci viene per la prima volta presentato nella Walküre, Atto III, scena I, al momento che abbiamo indicato come l’“annunciazione” di Brünnhilde a Sieglinde della sua prossima maternità. Il secondo, detto “Il grido del fanciullo della foresta” (o anche del “corno di Siegfried”) viene esposto già all’inizio della seconda giornata, ad evocare in realtà il ragazzo giovane e un poco scavezzacollo; esso è trasmutato poi, come abbiamo appena constatato, in quello dell’”Eroismo di Siegfried”. Ce n’è per la verità anche un terzo (“Siegfried erede della potenza del mondo”) che accompagna la dichiarazione d’amore di Brünnhilde, prima del finale della seconda giornata.(1)

Ora, tralasciando anche questo terzo tema, di cui abbiamo a suo tempo chiarito l’origine particolare (perchè “privata”) e la dubbia, o quanto meno labile, coerenza con l’impianto del Ring, fissiamo l’attenzione sui primi due, nella loro struttura e nelle diverse circostanze in cui appaiono, e l’impiego che Wagner ne ha fatto finora (e ne farà ancora da qui alla fine...)

Intanto notiamo come una prima differenza che li distingue sia di natura prettamente musicale: il tema di Siegfried è dotato di una linea melodica piuttosto complessa che lo caratterizza univocamente; un tema che non si presta ad essere esposto a più voci, e che quindi ritorna sempre sostanzialmente “uguale a se stesso”, con variazioni quasi esclusivamente nel tempo, più o meno contratto o dilatato (come nel finale di Walküre e - vedremo fra poco - in quello di Götterdämmerung).

Invece il motivo del “Grido/Eroismo” – lo abbiamo or ora constatato – ha una struttura, basata sulla triade maggiore e sul percorso sopratonica-sottodominante, che si presta naturalmente ad arricchimenti armonici (ad esempio, ad essere esposto a due voci, per terze) oltre che a trasformazioni radicali (nel tempo). Anche la sua conformazione ritmica ne ha fatto scaturire altri temi, come quello del lavoro (Siegfried, Atto I, Scena III).

Nel Siegfried i due temi compaiono in diverse occasioni e val la pena di analizzare queste ricorrenze per capire con quale logica essi vengano da Wagner impiegati (tutto si può ipotizzare, tranne che il compositore abbia di volta in volta gettato in aria una monetina per scegliere quale dei due temi richiamare). 

Come sappiamo, il tema del Grido appare subito al primo entrare di Siegfried in scena: nessun dubbio che evochi la figura esteriore e il carattere esuberante del ragazzo. Poco dopo però, al momento di collaudare (con esito disastroso!) la spada preparatagli da Mime, udiamo il giovane ironizzare sull’inconsistenza dell’arma mentre la tromba bassa e il corno esplodono, due volte, il tema di Siegfried: perché questo e non il Grido? Probabilmente perché il contesto, con l’indiretto riferimento alla Nothung, prefigura in qualche modo la missione che il ragazzo ha sulle spalle, pur essendone ancora inconsapevole: insomma, qui si tratta di problemi che trascendono la circostanza materiale…

Poco dopo, all’inizio del battibecco con Mime a proposito dell’identità dei suoi genitori, il ragazzo spiega di aver visto, riflessa dalle acque del ruscello, la sua propria immagine; bene, anch qui è il tema di Siegfried, nella sua prima sezione completa (seguito a ruota da quello dei Wälsi) a sottolineare il racconto. Come si spiega? Perché qui si tratta non tanto dell’identità fisica, esteriore e transeunte del giovane, ma di quella che gli deriva dal lignaggio, dalla stirpe che lo ha generato; e Wagner intende sottolineare la differenza fra la nobiltà delle origini di Siegfried e l’umiltà di quelle di Mime.     

Poi, al momento della descrizione che Mime fa del parto di Sieglinde, sulle parole “doch Siegfried, der genas” (ma Siefgried, lui nacque) è ancora l’incipit del tema di Siegfried a farsi udire. Ed è perfettamente logico, dato che si tratta ancora di un neonato, del quale si conosceranno assai più tardi le caratteristiche fisiche:  per ora ciò che lo descrive è la sua origine, la sua ascendenza. Stesso dicasi subito dopo in relazione alla domanda del ragazzo: perché mi chiamo Siegfried? A sottolinearla è la prima sezione completa del suo tema: per la semplice ragione che è soltanto quello che sua madre conosceva: il motivo cantatole da Brünnhilde al momento di annunciarle la sua gravidanza! 

Durante la tenzone di sapienza con il Viandante, Mime risponde alla prima domanda citando i Wälsi, Siegmund e Sieglinde e il frutto del loro amore. Ed alla seconda, nominando la spada Nothung che Siegfried impiegherà per uccidere Fafner. In entrambi i casi è sempre il tema di Siegfried (l’intera prima frase) a farsi udire nei corni. Ancora il tema di Siegfried accompagna la terza domanda di Wotan: chi saprà forgiare la Nothung? E da ultimo esso torna sul minaccioso avvertimento del Viandante: chi non conosce la paura saprà compiere l’impresa.

All’inizio della terza scena ancora ascoltiamo un paio di volte il tema di Siegfried: dapprima a sottolineare il lamento di Mime, che sta rimuginando sconfortato la profezia del Viandante; poi quando Siegfried ribatte ai goffi tentativi del nano di spiegargli cosa sia la paura: il mio cuore è saldo e non vacilla, risponde, mentre la tromba espone la prima parte del suo tema.   

Durante l’intero processo di riforgiatura della spada invece noi udiamo spesso e volentieri (e soprattutto nella colossale conclusione dell’atto) il tema del Grido. Esso sottolinea la frenetica e incessante attività manuale del ragazzo intento a costruirsi l’arma che gli deve permettere di affrontare senza pericoli il suo prossimo “viaggio nel mondo”. In una sola circostanza riudiamo il tema di Siegfried: ed è quando Mime, osservando il ragazzo lavorare e rendendosi conto che riuscirà nell’impresa, si domanda come poter evitare di dovergli cedere la testa, come ha profetizzato il Viandante.  

Orbene, già qui possiamo avanzare un’ipotesi sull’impiego dei due temi di Siegfried, ipotesi che proveremo a verificare nel seguito. Abbiamo constatato come il primo motivo (Siegfried) appaia regolarmente ogniqualvolta si parla o si tratta del personaggio in termini, per così dire, immateriali, se non proprio ideali: la sua schiatta, le sue prerogative, o ciò che ci si attende – o si teme! - da lui e dalle sue imprese. Il secondo (quello del Grido) si presenta invece ogniqualvolta ci troviamo in presenza del ragazzo in carne ed ossa, che agisce, corre, grida, scherza o lavora.  

Siamo perciò autorizzati ad immaginare che con il tema di Siegfried - più che la persona fisica, naturalmente mutevole ed anche deperibile – Wagner intenda rappresentare qualcosa di astratto, quindi di (quasi) immutabile: un concetto, un’idea, un’utopia forse, o un programma, magari una speranza. Del resto, si tratta di un tema che nasce assai prima della materiale venuta al mondo del personaggio, ergo non può in alcun modo rappresentarne le caratteristiche esteriori e i comportamenti spiccioli, che diverranno osservabili (e giudicabili) solo dopo la nascita e lo sviluppo della persona medesima.

È invece più che plausibile che rappresenti la personificazione - dopo il fallimento di Siegmund - del “programma politico” di Wotan, il quale (per interposta Brünnhilde) continua a contare su un “altro da sè” che compia l’impresa di recuperare l’anello e - restituendo questo al Reno - possa anche salvare lui e gli dèi dalla altrimenti inevitabile fine: l’enfasi con cui Wotan ha cantato quel tema alla fine della Walküre ne è chiara testimonianza. E però proprio il fallimento di tale programma farà sì che - non a caso - il tema in questione venga presentato, alla fine del Ring, legato a filo doppio a quello del Crepuscolo... subito prima delle (enigmatiche(2)) sette battute della chiusa.

Viceversa il tema del Grido, appiccicato da subito al giovanotto che irrompe per la prima volta sulla scena, lo segue e lo seguirà per il resto delle sue vicende materiali, vivendo e trasformandosi in modo assolutamente fantastico, proprio come la persona fisica che incarna.

Insomma: i due temi come lo spirito e il corpo di uno stesso individuo? O la personalità e la persona? Una cosa del genere abbiamo visto applicarsi anche a Wotan, del quale il tema del Patto evoca il potere ideologico e quello del Walhall il potere temporale.     

Nel second’atto del Siegfried i due temi compaiono ancora, una prima volta al momento in cui il ragazzo, avendo rinunciato a suonare con il rudimentale zufolo di canna, porta alla bocca il suo argenteo corno. Qui udiamo ripetersi più volte il tema del Grido, ma ad incastonare quello di Siegfried: il nostro, per presentarsi agli uccellini del bosco, ci mette proprio anima-e-corpo!

Poi ancora i temi sono protagonisti della lotta con il drago, anche qui con ruoli ben precisi: il tema del Grido compare più volte durante le fasi della tenzone, a rappresentarci la destrezza e l’abilità materiale con cui il ragazzo elude i colpi portati da Fafner, fino a quando lo infilza di giustezza nel cuore; invece il tema di Siegfried sale maestoso, quasi a consacrare la grande impresa testè compiuta, allorquando il giovane, rispondendo a Fafner che gli chiede la sua identità, afferma di non conoscerla nemmeno.

E poco dopo, al termine del racconto del drago morente, sarà ancora il tema di Siegfried ad accompagnare il nome finalmente comunicato dal ragazzo al gigante (“Siegfried bin ich genannt!”) 

Dopo che Siegfried ha sistemato Mime, qual’è il tema che udiamo ad accompagnare le operazioni di sepoltura del nano e del drago? Ovviamente quello del Grido (qui addirittura “affaticato”) poiché trattasi di atti puramente materiali.

Invece, la domanda che il ragazzo fa all’Uccellino (e a se stesso) “Riuscirò ad attraversare il fuoco, verso Brünnhilde?” non può essere sostenuta se non dal tema di Siegfried, poiché quella che si prefigura è un’impresa di natura “politica”, ideale (anche se vedremo poi che verrà evocata anche nei suoi risvolti materiali).  

Nella prima scena del terz’atto è ancora il tema di Siegfried ad accompagnare le esternazioni di Wotan ad Erda: poiché il dio vi esalta il suo “sogno” che si sta realizzando, attraverso la grande impresa che il nipote ha già compiuto: recuperare l’Anello. E anche nel confronto-scontro con Wotan, è sempre il tema di Siegfried a farsi udire, quando il ragazzo intima allo (sconosciuto) nonno di farsi da parte: perché evidentemente, prima che materiale, lo scontro è di natura prettamente ideologica e politica. 

Attenzione invece a quanto si ascolta durante l’impegnativa salita del ragazzo verso Brünnhilde, al momento di attraversare il mare di fuoco che la circonda: qui udiamo il tema del Grido, ma mutato nel tempo e nell’enfasi (si tratta in effetti di un’impresa sportiva della massima difficoltà, che mette a dura prova il fisico del ragazzo…) e insieme quello – sempre uguale a se stesso – di Siegfried. In effetti i due temi sembrano spalleggiarsi l’un l’altro nell’atto di compiere l’impresa: è il Siegfried “ideologico” che, dopo il passaggio-di-consegne da Wotan, si serve delle prerogative di quello ”in carne ed ossa” per raggiungere l’obiettivo più alto e nobile, rappresentato dalla conquista di Brünnhilde.  

Nella scena conclusiva della seconda giornata ascolteremo uno solo dei due temi – quello di Siegfried, manco a dirlo - e soltanto verso la fine, allo scoppiare definitivo della passione fra i due giovani, poco prima della finale apoteosi: e sarà Brünnhilde la prima a cantarlo, seguita da Siegfried, a simboleggiare il coronamento di un sogno iniziato nel terz’atto di Walküre.

In quest’ultima giornata abbiamo ascoltato il tema del Grido proprio alla fine della scena delle Norne, al momento in cui il filo del destino si è spezzato, e ce ne siamo chiesti la ragione. Ebbene, la presenza di questo tema, e non di quello di Siegfried, pare proprio una conferma dell’imminente fallimento dell’impresa del ragazzo, nel quale tante speranze erano state idealmente riposte prima ancora che venise al mondo, ma che il Siegfried in carne ed ossa non saprà far diventare realtà…

In seguito riascolteremo entrambi i temi: quello del Grido-Eroismo (il Siegfried “corporale”) comparirà a supportare le vicende materiali in cui il giovane sarà coinvolto, mentre l’originario tema “spirituale” verrà udito nei momenti determinanti del dramma, e non a caso proprio all’epilogo.
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Note:
1. Alla conclusione del Ring scopriremo come in realtà esista – sotto mentite spoglie - un quarto e fondamentale tema legato a Siegfried.
2. Torneremo sull’argomento alla fine del Ring.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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