23 mar 2017

5.4.3.1 Götterdämmerung: Atto III – Scena III – Meschinità a corte.


Siamo quindi tornati a Gibichheim, si è fatta ormai notte e la luna che era apparsa fra le nubi ad illuminare il corteo funebre ora si specchia nelle placide acque del Reno. Alla reggia troviamo una povera Gutrune in apprensione per le sorti del marito; il suo sonno è stato rotto da incubi, poi dal prolungato nitrire di Grane, e infine dalla risata isterica di Brünnhilde, che le sembra di aver scorto aggirarsi lungo la riva del Reno.

È una scena davvero spettrale: l’incipit del motivo di Gutrune viene esalato dai clarinetti su una quinta abbassata (SIb-MI, lo sbifido tritono) poi il tema è ripreso dai violini, storpiato sinistramente. Quindi si ode nel corno il tema del Grido di Siegfried, ma anch’esso deturpato dal tritono iniziale (MI-SIb): è solo ciò che Gutrune crede di sentire... ma no, nessuno sta tornando, e ancora spezzoni della Schiavitù e del Grido di dominazione e poi il Grido di Siegfried (ora in tono minore) accompagnano la poveretta che lamenta i suoi brutti sogni. Agitate semicrome di violini e viole, seguite da spezzoni della Cavalcata sottolineano il ricordo dell’agitato nitrire di Grane e delle risate di Brünnhilde, che l’hanno risvegliata.

Era forse lei la donna che sembrava camminare verso il Reno? Gli archi ricordano lo spezzone finale del Canto delle Figlie del Reno, poi il clarinetto esala sommessamente il tema di Brünnhilde donna, mentre Gutrune si affaccia timidamente alla porta della camera di lei, chiamandola senza avere risposta, salvo quella del clarinetto basso che ancora replica con lo stesso motivo.

Ma improvvisamente il corno annuncia il Grido di nozze! Sarà lui? No, tutto tace. Mentre flauti e corni espongono l’inizio del suo tema, Gutrune si augura: ah, potessi vedere Siegfried proprio adesso! E fra poco lo vedrà, infatti, ma non sarà proprio un incontro piacevole! E lo si intuisce subito da ciò che si ode in orchestra e nella voce di Hagen, che sta sopraggiungendo, precedendo il corteggio che reca la salma di Siegfried: fagotti e archi bassi intonano la Follia della vendetta, mentre la voce di Hagen (“Hoi ho!”) intona il tema della Schiavitù (REb-DO) e sappiamo come i due temi sovrapposti creino quello del Patto di vendetta!

E quest’atmosfera si protrae ancora, sulle sguaiate urla di Hagen che ordina di fare luce, poichè lui e i compari stanno tornando con il bottino di caccia. Il Grido di nozze si fa ancor più stentoreo nei corni, mentre Hagen invita Gutrune a salutare Siegfried, l’eroe che torna a casa... ma due corni ne intonano il Grido in modo minore! Fagotti e archi bassi reiterano il tema della Follia della vendetta, mentre la povera Gutrune chiede cos’è successo, dato che lei non ha udito il corno del marito (il tema del cui Grido si ode salire in agitate terzine di violini e violoncelli).

Eh già, spiega Hagen, intonando con i corni il motivo dell’Espiazione, l’eroe, ormai pallido, non può più suonarlo per andare a caccia, di animali, uomini nè... (la Rinunzia!) di belle donne. Ancora il tema del Grido di Siegfried, sinistro nei corni, accompagna la domanda disperata di Gutrune: cosa state portando qui?  Il tema di Siegfried si alza ora nella tromba, contrappuntato da quello del Grido nei violini e seguito da una pesante scalata di tutta l’orchestra che conduce a due tremende reiterazioni del tema della Schiavitù, sulle quali Hagen annuncia, con enfasi pari al disprezzo: è la preda di un cinghiale selvaggio, il tuo sposo Siegfried! Morto!  

Nella generale costernazione, la poveretta non può che lanciare un urlo disperato e buttarsi sulla salma del marito: gli archi ne sottolineano le mosse con agitatissime discese di semicrome in staccato(1). Gunther prova maldestramente a consolarla, cercandone lo sguardo, mentre l’orchestra rimugina motivi sinistri e singhiozzanti. Gutrune ripete, quasi a convincersene davvero: Siegfried ammazzato? Poi, sui ritorni delle discese degli archi che ne sottolineano la disperazione, non esita ad incolpare il fratello della morte di Siegfried, quindi chiede aiuto contro coloro che le hanno ucciso lo sposo.

Allora Gunther, cantando su una variante della Follia della vendetta, la invita a non prendersela con lui, informandola che l’assassino del suo Siegfried (di cui clarinetto e corno esalano un ultimo, dimesso Grido) è Hagen(2). E ancora le veloci discese negli archi ne sottolineano l’accusa. Alle rimostranze del fratellastro, Gunther gli augura sciagure e angoscia, ed allora Hagen più non si trattiene: sì, io, Hagen, sono io che l’ho ammazzato! E il tema del Giuramento (quello solennemente celebrato da Siegfried sulla punta della sua lancia) lo giustifica comparendo nei corni; subito dopo un altro motivo, quello dell’Espiazione, nei fiati, sostiene la sua buona ragione per aver conseguentemente colpito a morte lo spergiuro. E quindi - secondo lui - gli dà anche il diritto di reclamare l’anello che Siegfried porta al dito.

Manco a dirlo, le volute dell’Anello cominciano a turbinare in orchestra, mentre Gunther gli si oppone, vantando il suo buon diritto ad averlo per sé(3). Hagen chiama a testimoni del suo i suoi uomini, e Gunther lo accusa allora di volersi impadronire dell’eredità di Gutrune(4) (il cui tema, stravolto, udiamo in legni e violini). Tracotante, il tema della Maledizione si alza nel primo trombone, mentre Hagen reclama definitivamente il retaggio del padre Alberich. E così dicendo estrae la spada e con un fendente fa secco il fratellastro, proprio come nel Rheingold Fafner aveva fatto secco Fasolt, che gli contendeva lo stesso oggetto; dopodichè, sul Grido di dominazione, urla: a me l’anello!(5)
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Note:
1. Ritroveremo atmosfere simili associate alla Kundry del Parsifal.
2. In questa affermazione di Gunther c’è una buona dose di ipocrisia: la sera precedente anche lui (con Brünnhilde!) aveva avallato la sentenza di morte per Siegfried e sapeva benissimo come la battuta di caccia dell’indomani fosse solo un pretesto per eseguire tale sentenza. Così come era chiaro che l’esecuzione spettasse a Hagen, in forza del giuramento di Siegfried (giudicato poi come spergiuro) accolto dalla punta della sua lancia. Adesso (e anche al momento dell’uccisione dell’eroe) Gunther sembra pentito di quella decisione e ne addossa interamente la responsabilità al fratellastro. Insomma: è la conferma della totale povertà di spirito che caratterizza la insignificante personalità del sovrano ghibicungo.
3. Gunther qui sembra proprio dar credito all’ipotesi che l’anello sia stato strappato da Siegfried a Brünnhilde, quindi che fosse destinato a lui, marito di lei.
4. Questa affermazione contraddice la precedente, poichè Gunther sembrerebbe ora riconoscere che l’anello fosse legittimamente in possesso di Siegfried, ergo destinato alla consorte vedova. 
5. Ecco il momento tanto atteso da Hagen, quello per cui il mezzosangue aveva ordito tutta questa incredibile messinscena!

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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