25 ago 2017

7.0 Post-messa – Un altro Ring.


Ho deciso di collocare queste considerazioni in coda al racconto della fiaba, poiché sono convinto che, se poste a premessa, avrebbero solamente annioato il lettore, o gli sarebbero apparse stravaganti, o ancora risultate del tutto incomprensibili, o magari lo avrebbero troppo condizionato nella sua esplorazione del Ring. Ma ora che sulla gran fiaba è calato il sipario, credo che tali considerazioni possano e debbano trovare un loro spazio.

Di che si tratta? Ancora una volta del supposto legame, controverso quanto secolare, fra Wagner (il Ring, nel nostro caso) e l’antisemitismo, con tutto ciò che di aberrante da esso storicamente conseguì. Già nell’Introduzione (Calunnie o verità?) si era sommariamente accennato alle convinzioni antisemite di Wagner, rese pubbliche da alcuni suoi scritti, dei quali val la pena ricordarne almeno due.

In primo luogo Das Judenthum in der Musik (Il Giudaismo in musica) apparso sotto pseudonimo nel 1850, che contiene una violenta requisitoria contro l’avanzare della sub-cultura ebraica all’interno della nobile, alta e superiore tradizione germanica. Agli ebrei è concessa una sola soluzione, quella della rovina e della decadenza (“Untergang”). Nella riproposizione del libello (1868) Wagner avanza la constatazione che l’assalto di quella sub-cultura è ormai arrivato ad un livello tale che essa sta prendendo il sopravvento; e di non saper dire – e questa è un’affermazione purtroppo tragicamente anticipatrice! - se l’arresto della caduta della cultura germanica possa avvenire anche attraverso una “reazione violenta” (“eine gewaltsame Auswerfung”).

Poi Was ist Deutsch? (Cos’è Tedesco?) pubblicato nel 1878, ma scritto nel 1865, dove Wagner dipinge gli Ebrei come “elemento alieno che ha invaso la natura tedesca”. E li addita a primi e principali sfruttatori del sistema capitalistico, del profitto, del potere economico delle banche. Il tutto all’interno di un panegirico allo spirito tedesco, capace di sopravvivere ad ogni avversità e ad ogni sopraffazione (troviamo accenti analoghi nell'appello di Sachs alla conclusione dei Meistersinger, coevi del libello).

Ma certo gli scritti di Wagner, da soli, non avrebbero avuto diffusione e risonanza così grandi da condizionare la politica tedesca a 60-80 anni di distanza, e Hitler probabilmente non si sarebbe neanche scomodato a leggerli, ammesso di venirne a conoscenza. E invece sono le opere di Wagner ad essere messe da più parti nel mirino: secondo queste accuse, il fine ultimo perseguito da Wagner componendo i suoi drammi sarebbe non solo l'arte ma, per suo tramite, l’esplicitazione del programma politico dell’ideologia antisemita. E dato che quelle opere ebbero una risonanza ed una diffusione enormi, ecco che quel programma, in esse contenuto, potè richiamare l’attenzione e l’approvazione di uno sfegatato wagneriano, Adolf Hitler, che non dovette far altro che dargli applicazione pratica. Insomma: si accusa Wagner di avere responsabilità oggettive per la nascita del nazismo e quindi per la sorte toccata agli ebrei!

La tesi che più di uno studioso(1) sostiene è così enunciabile: 

Nel Ring, Wagner altro non vuol rappresentare se non il conflitto insanabile, anzi mortale, fra la purezza dell’identità culturale germanico-ariana e il suo pericoloso inquinante semitico.

La gravità di questa posizione non sta certo nel fatto di rivelare i sentimenti antiebraici di Wagner, che sono una realtà assodata e fuori discussione, ma in quello che tende surrettiziamente (ma soprattutto immeritatamente!) a rinchiudere l’opera dell’artista in angusti e meschini confini socio-politici-ideologici. Insomma, a ridurre la profondissima e universale ricerca psicologica e filosofica, e la somma arte espressiva di Wagner, alla pura rappresentazione e scimmiottatura di un - per quanto serio - conflitto di civiltà(2). In sostanza: a presentarci Wagner esclusivamente nei panni del politico, dell’ideologo e del capopopolo(3) (tutte caratteristiche che sappiamo fossero una componente secondaria della sua personalità) così da nascondercene - o farcene dimenticare del tutto - la qualità e la natura principale, anzi l’unica per la quale Wagner abbia titolo per essere ricordato ed apprezzato: l’Artista!
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Note:
1. Esistono innumerevoli riferimenti a quest’accusa, ad esempio in scritti di studiosi quali Hartmut Zelinsky (“Richard Wagner – ein deutsches Thema”) o Barry Millington (“Wagner”) o Daniel L.Leeson (Antisemitism in the music dramas of Richard Wagner”) o Chris Nicholson (“Apotheosis”) o ancora Peter Brach (“The Anti-Semitic Intention of The Ring of the Nibelung”) e Barry Emslie ("Richard Wagner and the centrality of love"). Robert W.Gutman (“Richard Wagner: the Man, his Mind and his Music”, 1968) è probabilmente stato il primo a sostenere compiutamente questa tesi, riferendosi prevalentemente a Parsifal e pur riconoscendo l'altissimo livello artistico delle opere di Wagner. E sappiamo che lo stesso Gottfried Wagner, pronipote del compositore, non esita a individuare un binario che collega direttamente le opere del bisnonno con Auschwitz.
2. Conflitto che, del resto, negli anni bui di Hitler fu di tutto fuorchè di civiltà…
3. È esattamente la stessa operazione mistificante fatta – a suo tempo e a suo pro - da Hitler&C. 

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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