6 apr 2017

5.4.3.3 Götterdämmerung: Atto III – Scena III – Epicedio e presa di coscienza.


La scena che precede la cataclismica conclusione del quadripartito dramma (dove saremo spettatori nientemeno che di: un gigantesco rogo, una spaventosa esondazione del Reno, il crollo della reggia ghibicunga e l’incendio propagato al Walhall) si articola su sei sezioni del canto solitario(1) di Brünnhilde, così sinteticamente etichettabili:

- Proposito di sacrificio della propria vita: “Starke Scheite schichtet mir dort“ (Ceppi robusti accumulatemi là);
- Epicedio di Siegfried, eroe puro e gran traditore allo stesso tempo: “Wie Sonne lauter strahlt mir sein Licht” (Pura come il sole, a me raggia la sua luce);
- Appello agli dèi, presa di coscienza e congedo da Wotan: “O ihr, der Eide ewige Hüter!” (O voi, dei giuramenti sacri custodi!);
- Decisione di restituire l’Anello: “Mein Erbe nun nehm' ich zu eigen” (Ormai del mio retaggio io m'impossesso);
- Invito ai corvi di Wotan a mandare Loge ad incendiare il Walhall: “Fliegt heim, ihr Raben!” (A casa, o corvi, in volo!);
- Olocausto e ricongiungimento con Siegfried: “Grane, mein Ross!” (Grane, mio cavallo!)

Non c’è dubbio che la figura di Brünnhilde ne esca ingigantita, come quella di protagonista assoluta della conclusione del Ring. La sua personalità domina la scena in lungo e in largo e le sue ultime volontà e azioni determinano nientemeno che l’epilogo della cosmica allegoria wagneriana. Però vedremo – ma in parte abbiamo già potuto constatarlo - che non tutto è oro ciò che luccica...

Brünnhilde fa subito capire quale sia il suo disegno: immolarsi con il suo Grane sullo stesso rogo che ordina agli uomini di predisporre per ardervi il corpo di Siegfried. È il tema della Catastrofe (incisi marziali nei fiati e motivo ascendente, puntato, negli archi bassi) ad occupare reiteratamente la scena, mentre la tonalità muta, salendo in continuazione, quasi a seguire strato a strato la crescente altezza dell’enorme pira che i giovani ghibicunghi stanno preparando, accatastando ceppi e ramaglie, mentre le donne stendono tappeti cosparsi di foglie e fiori.

Si va da LA minore a SIb minore, poi a DO maggiore (“Starke Scheite”) quindi a REb minore (“am Rande des Rheins”) poi a MIb minore (“zuhauf”) e ancora a FA# maggiore (“Hoch und hell lodre die Glut die den edlen Leib”) dove comincia a farsi largo nei violini il tema dell’Incantesimo del fuoco; poi a LA maggiore (“des hehrsten Helden verzehrt”) con entrata maestosa del tema del Crepuscolo (il corpo dell’eroe consumato dalla vampa) mentre il canto espone la chiusa del tema di Siegfried; il quale culmina in DO# (“Sein Ross führet daher”) con fagotti e celli a ricordare la Cavalcata, in omaggio a Grane; per poi virare a MIb (“dass mit mir dem Recken es folge”) e da qui al LAb (“denn des Helden heiligste Ehre zu teilen”) su cui si innalza nobilmente nel canto il tema di Siegfried (sempre accompagnato dall’Incantesimo del fuoco e dalla Cavalcata). Dalla sua chiusa sul MIb ancora le due componenti della Catastrofe suggellano l’esposizione del proposito di Brünnhilde.

Il suono si è improvvisamente rarefatto e il clarinetto esala, in REb, il motivo del Saluto d’amore: e mai così a proposito, dato che qui inizia quella che possiamo chiamare l’orazione funebre di Brünnhilde per Siegfried. La tonalità si porta sul DO maggiore e questa sezione del canto di Brünnhilde è tutta sostenuta da continui sviluppi del tema del Saluto d’amore.

Siegfried fu l’eroe più puro, ma tradì l’amata per fedeltà all’amico (Gunther): fedeltà testimoniata dalla Spada (il cui tema si alza stentoreo nella tromba in DO maggiore) stesa fra loro nella fatale notte del rapimento. Nessuno fu più fedele di lui e nessuno sappe amare come lui; pure nessuno come lui tradì i giuramenti e l’amore per la sua donna.

Queste ultime parole sono sostenute in orchestra dalle secche ottave discendenti del tema della Fedeltà.

Ora Brünnhilde ci e si domanda: chi sa perchè ciò avvenne? E il tema del Presagio di morte (qui in DO minore) che ha introdotto la domanda sfocia in quello, davvero implacabile e immancabile, dell’Enigma del destino...(2)

C’è anche qualcun altro cui la domanda è indirizzata: ce lo dice inequivocabilmente la comparsa negli ottoni di una forma dimessa e quasi irriconoscibile del tema del Walhall. È agli dèi che ora Brünnhilde si rivolge, alzando lo sguardo verso il cielo per rinfacciargli la loro colpa eterna (“erschaut eure ewige Schuld!”) sul tema del Presagio di morte, ancora sfociante in quello dell’Enigma. Quindi si rivolge direttamente al padre: “Meine Klage hör', du hehrster Gott!” per scagliargli addosso senza mezzi termini una tremenda accusa, tutta costellata da ritorni del tema dell’Enigma: aver votato alla morte quella nobile creatura che aveva compiuto l’impresa a lui negata, ma da lui tanto agognata. E quella nobile creatura aveva dovuto tradire lei, perchè lei comprendesse la verità (ma è proprio così? il tema dell’Enigma, insistente, sembrerebbe metterlo in dubbio...) e divenisse sapiente(3). E così ora anche lei ha chiaro il futuro: la fine, che si prepara a dare a se stessa e agli dèi, cui invierà i corvi (tema della Schiavitù, nei legni, seguito nel clarinetto basso e negli archi alti dalla sequenza ascendente riferibile ai corvi) per annunciarla. E null’altro che il protervo tema della Maledizione può sottolineare tale proposito. Ma subito dopo ecco due ritorni (in LAb nei corni) della seconda maggiore (FA-MIb) del Canto delle Figlie del Reno, ad introdurre il “Ruhe” (riposa, o dio...) sulla ricomparsa della chiusa del Walhall, nel canonico REb, mentre gli archi ricordano però l’Angoscia di Wotan! E il conclusivo “du Gott!” è cantato ancora sul motivo della Schiavitù (MIbb-REb) prima che la tromba bassa metta il suggello del Walhall.

Torna in tre folate successive il motivo ascendente della Catastrofe per supportare l’invito di Brünnhilde agli uomini di collocare la salma di Siegfried sulla pira. Subito subentrano in sequenza i temi del Crepuscolo e dell’Elemento primordiale (questo nei clarinetti in MIb, proprio come nel Preludio del Rheingold) ad accompagnare Brünnhilde nel gesto di sfilare l’Anello dal dito di Siegfried, per contemplarlo poi in profonda meditazione.

Il tema dell’Anello, cupamente storpiato nei legni, per due volte accompagna le parole di Brünnhilde (“Verfluchter Reif! Furchtbarer Ring!”) che ha deciso (era ora!) di riconsegnarlo alle Figlie del Reno. Ora si contrappuntano mirabilmente tre temi legati alle ninfe: il Canto delle Figlie del Reno (versione lamentosa della fine del Rheingold), il loro Grido di allegria (udito all’inizio di questo terz’atto) e il “Weia Waga”, le Figlie del Reno (quello della loro prima apparizione). Brünnhilde proclama di accettare il consiglio delle sagge ninfe(4) e di restituire loro ciò che reclamano.

Qui udiamo tre successivi ritorni del tema dell’Oro: dapprima sul SIb, poi sul RE e infine sul SOLb (ma sfociante sul RE naturale, quinto grado aumentato...) Brünnhilde sembra (e Wagner con lei) porsi correttamente un problema di importanza capitale quando, rivolta alle ninfe e riguardo all’Anello afferma: “Voi nel flutto dissolvetelo; limpide custodite l'oro lucente, che vi fu rapito a sventura.” Sì, perché ciò che qui sta per essere restituito al Reno e proprio nelle mani delle ninfe non è già l’Oro puro, primordiale, incontaminato che esse custodivano beatamente prima dell’arrivo di Alberich, ma un manufatto (e il tema dell’Anello infatti rispunta nei clarinetti) costruito da un essere vivente al preciso scopo di sfruttarne le proprietà miracolose e perverse insieme, e sul quale grava la Maledizione (ecco il relativo tema sulle ultime parole di Brünnhilde “zum Unheil geraubt”) del costruttore medesimo, una maledizione che – fino all’ultimo – ha sempre, infallibilmente ed inesorabilmente colpito tutti coloro – colpevoli o innocenti, consapevoli o ignoranti – che si sono impossessati dell’Anello o che hanno anche solo tramato per impadronirsene. Ecco perché Brünnhilde si premura di ordinare alle ninfe di ritrasformare l’Anello in Oro.(5)
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Note:
1. È di gran lunga (per numero di versi) il più lungo monologo dell’intera Tetralogia. Peraltro l’ultima voce che si udrà nel Ring sarà quella del bieco Hagen.
2. Come già anticipato, nelle parole di Brünnhilde si parla di Siegfried come di un grande eroe onesto e di un grande traditore allo stesso tempo. Il concetto è di indubbia suggestività e drammaticità… ma non si accorda con i fatti ormai accertati, e perfettamente chiari anche a Brünnhilde: Siegfried ha tradito inconsapevolmente, in forza di un imbroglio, perpetrato ai suoi danni da Hagen, e perciò dovrebbe essere assolto con formula piena, riconoscendo in lui una vittima innocente di giochi che sono passati sopra la sua testa. Al massimo gli si potrebbe rimproverare eccessiva dabbenaggine, nel momento in cui si fidò dell’ospitalità pelosa dei Ghibicunghi. Perché, se viceversa Siegfried fosse un vero traditore, allora che senso avrebbe glorificarlo? È possibile che Wagner abbia cercato, quasi sinfonicamente, di far convivere due stati esistenziali di Siegfried: quello soggettivo, vissuto personalmente (il ragazzo ingenuo, sempre fedele - a se stesso e ai suoi impegni - spinto da inguaribile ottimismo) e quello oggettivo, vissuto di riflesso da Brünnhilde (un grande amatore prima, un grande traditore, sia pure incolpevole, poi). Invece – e questo è davvero inconcepibile - Brünnhilde (in realtà Wagner) ignora la colpa più grave e infamante di cui Siegfried si è macchiato per davvero, filtro o non filtro: la menzogna! Affermando di non averle strappato l’Anello la sera precedente, lui – l’eroe puro e incontaminato – è purtroppo diventato un gran bugiardo, un volgare impostore. Ma ciò passa praticamente inosservato.
3. Beh, qui la nostra ex-valchiria non la racconta giusta: come si è già ricordato, lei conosceva in anticipo e alla perfezione (fin dalle parole del padre Wotan e poi da quelle di Waltraute) le qualità negative dell’Anello, la relativa maledizione che vi gravava e l’assoluta necessità di restituirlo al Reno per salvare il mondo. Non aveva proprio bisogno di toccarne con mano gli effetti devastanti del possesso per prendere la saggia decisione di disfarsene. E invece, per egoismo e superbia (privilegiare la propria effimera felicità) lei è divenuta corresponsabile della catastrofe planetaria e in primo luogo proprio della morte del suo amato eroe. Morte della quale ora incolpa del tutto a sproposito Wotan, completamente estraneo (muto e inane da quando fu umiliato da Siegfried) alle vicende che hanno portato a quella morte: non è propriamente un bell’esempio di sapienza!
4. Di nuovo: una decisione tardiva, presa da chi ormai non ha più nulla da chiedere alla vita.
5. Ma del fatto che ciò avvenga non avremo alcuna certezza, anzi...

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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