23 dic 2015

5.3.1.1 Götterdämmerung: Atto II – Scena I: Alberich, chi non muore si rivede


È calata la notte. Abbiamo lasciato Siegfried (il falso Gunther) e Brünnhilde apprestarsi a trascorrerla nella dimora di lei, ma rigorosamente separati dalla Nothung. Il Gunther autentico è evidentemente rimasto nei pressi della barca, in riva al Reno, ai piedi della roccia circondata dalle fiamme, in attesa che Siegfried gli rechi in regalo la sposa, il mattino successivo.

Ma il breve Preludio ci riporta alla reggia dei Ghibicunghi, che Hagen ha promesso a Gunther di custodire in sua assenza. Sono solo 38 battute di musica, in tempo moderato, tonalità di SIb minore, e come al solito magistrali nell’evocare lo scenario che si aprirà davanti ai nostri occhi, prima che il sipario si alzi. La musica in pratica ci riporta all’atmosfera dell’interludio che aveva accompagnato la veglia di Hagen e introdotto la scena successiva presso Brünnhilde. È il motivo dell’Annientamento che subito compare in archi bassi e fagotti, sulle sincopi degli altri archi e ci fa capire che lo scenario è dominato da presenze nibelungiche. Il motivo di Hagen negli archi bassi ce lo conferma, poi ecco nel primo flauto la seconda minore (SOLb-FA) della schiavitù che introduce, in clarinetto basso, fagotti e celli un nuovo tema di Hagen, tema puntato (semiminime-crome) di moto discendente. La cosa si ripete poi in un crescente ribollire di semicrome degli archi, finchè – all’alzarsi del sipario – udiamo nelle tre trombe il tema della veglia di Hagen, la cui seconda sezione (due terzine ascendenti) si ripete per tre volte. Il bieco individuo è ancora seduto, come lo avevamo lasciato, in una specie di dormiveglia, appoggiato ad una colonna dell’atrio della reggia.

Ma ecco che il preludio sfocia, in tempo vivace, in un’irruzione agitatissima del tema dell’Anello nei violini, mentre un raggio di luna illumina una presenza che coglie tutti di sorpresa: quella di Alberich, accovacciato accanto al figlio!(1)      

Qui assistiamo ad una delle scene più strabilianti di tutto Wagner, sotto il profilo drammatico, espressivo e musicale. Val la pena intanto considerare come Wagner scolpisce gli atteggiamenti di padre e figlio: Alberich, il padre invecchiato e fisicamente malconcio, ha però ancora una tremenda carica di vitalità, che si esprime musicalmente con frasi di andamento mosso e parlata frettolosa e concitata, quella di chi ha l’animo in ansia poichè teme di perdere definitivamente(2) il suo patrimonio; Hagen, il figlio, mostra invece una calma olimpica(3), quella di chi sta ormai portando a compimento un disegno perfettamente, scientificamente organizzato in tutti i minimi dettagli, un diabolico piano che gli garantirà senza fallo il risultato atteso.
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Note:
1. C’è chi si domanda se Alberich compaia qui in carne ed ossa, o se invece non sia soltanto una visione onirica di Hagen. A conforto della prima tesi possiamo citare diverse ragioni: a) Alberich era vivo e vegeto poco prima (a Neidhöhle) e si è evidentemente spostato a Gibichheim proprio per allertare Hunding della grande novità (l’Anello passato dalle grinfie di Fafner al dito di Siegfried) e della conseguente necessità di agire in fretta; b) la descrizione materiale della scena che ci fa Wagner, con Alberich accovacciato accanto ad Hagen e con le braccia sulle sue ginocchia; c) Hagen che sembra addormentato (così la didascalìa); d) l’affermazione di Alberich, in risposta ad Hagen che si chiede chi erediterà l’eterna potenza: Io e te! e) infine il fatto che Alberich compariva nell’originaria Siegfrieds Tod anche nella scena conclusiva, per incitare Hagen a strappare l’anello alle Figlie del Reno. Un Alberich tuttora in vita conferisce alla chiusa del Ring una luce ed un significato del tutto particolari, come avremo modo di rilevare a suo tempo.
2. Con la possibile e temuta restituzione dell’oro alle tre Ninfe e al Reno. 
3. Si confronti il rapporto Hagen-Alberich con quello Amfortas-Titurel nel Parsifal: là avremo un vecchio padre religiosamente rassegnato alla santa morte e desideroso soltanto di godere, una volta ancora, della beatitudine del Gral, ed un figlio dilaniato - non solo fisicamente, ma soprattutto esistenzialmente - da una ferita incurabile e conseguentemente ridotto in uno stato di spaventevole agitazione. 

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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