È
calata la notte. Abbiamo lasciato Siegfried (il falso Gunther) e Brünnhilde apprestarsi
a trascorrerla nella dimora di lei, ma rigorosamente separati dalla Nothung. Il
Gunther autentico è evidentemente rimasto nei pressi della barca, in riva al
Reno, ai piedi della roccia circondata dalle fiamme, in attesa che Siegfried
gli rechi in regalo la sposa, il mattino successivo.
Ma
il breve Preludio ci riporta alla reggia dei Ghibicunghi, che Hagen ha promesso
a Gunther di custodire in sua assenza. Sono solo 38 battute di musica, in tempo
moderato, tonalità di SIb minore, e
come al solito magistrali nell’evocare lo scenario che si aprirà davanti ai
nostri occhi, prima che il sipario si alzi. La musica in pratica ci riporta all’atmosfera
dell’interludio che aveva accompagnato la veglia di Hagen e introdotto la scena
successiva presso Brünnhilde. È il motivo dell’Annientamento che subito compare in archi bassi e fagotti, sulle
sincopi degli altri archi e ci fa capire che lo scenario è dominato da presenze
nibelungiche. Il motivo di Hagen negli archi bassi ce lo conferma, poi ecco nel
primo flauto la seconda minore (SOLb-FA) della schiavitù che introduce, in clarinetto basso, fagotti e celli un
nuovo tema di Hagen, tema puntato
(semiminime-crome) di moto discendente. La cosa si ripete poi in un crescente ribollire
di semicrome degli archi, finchè – all’alzarsi del sipario – udiamo nelle tre
trombe il tema della veglia di Hagen,
la cui seconda sezione (due terzine ascendenti) si ripete per tre volte. Il
bieco individuo è ancora seduto, come lo avevamo lasciato, in una specie di
dormiveglia, appoggiato ad una colonna dell’atrio della reggia.
Ma
ecco che il preludio sfocia, in tempo vivace,
in un’irruzione agitatissima del tema dell’Anello
nei violini, mentre un raggio di luna illumina una presenza che coglie tutti di
sorpresa: quella di Alberich, accovacciato accanto al figlio!(1)
Qui assistiamo ad una delle scene più
strabilianti di tutto Wagner, sotto il profilo drammatico, espressivo e
musicale. Val la pena intanto considerare come Wagner scolpisce gli
atteggiamenti di padre e figlio: Alberich, il padre invecchiato e fisicamente
malconcio, ha però ancora una tremenda carica di vitalità, che si esprime
musicalmente con frasi di andamento mosso e parlata frettolosa e concitata,
quella di chi ha l’animo in ansia poichè teme di perdere definitivamente(2) il suo patrimonio; Hagen, il figlio, mostra
invece una calma olimpica(3), quella di chi sta ormai portando a compimento un
disegno perfettamente, scientificamente organizzato in tutti i minimi dettagli,
un diabolico piano che gli garantirà senza fallo il risultato atteso.
___
Note:
1. C’è chi
si domanda se Alberich compaia qui in carne ed ossa, o se invece non sia
soltanto una visione onirica di Hagen. A conforto della prima tesi possiamo
citare diverse ragioni: a) Alberich era vivo e vegeto poco prima (a Neidhöhle)
e si è evidentemente spostato a Gibichheim proprio per allertare Hunding della
grande novità (l’Anello passato dalle grinfie di Fafner al dito di Siegfried) e
della conseguente necessità di agire in fretta; b) la descrizione materiale
della scena che ci fa Wagner, con Alberich accovacciato accanto ad Hagen e con
le braccia sulle sue ginocchia; c) Hagen che sembra addormentato (così la didascalìa); d) l’affermazione di
Alberich, in risposta ad Hagen che si chiede chi erediterà l’eterna potenza: Io e te! e) infine il fatto che Alberich
compariva nell’originaria Siegfrieds Tod anche nella scena conclusiva, per
incitare Hagen a strappare l’anello alle Figlie del Reno. Un Alberich tuttora
in vita conferisce alla chiusa del Ring una luce ed un significato del tutto
particolari, come avremo modo di rilevare a suo tempo.
2. Con la
possibile e temuta restituzione dell’oro alle tre Ninfe e al Reno.
3. Si
confronti il rapporto Hagen-Alberich con quello Amfortas-Titurel nel Parsifal:
là avremo un vecchio padre religiosamente rassegnato alla santa morte e
desideroso soltanto di godere, una volta ancora, della beatitudine del Gral, ed
un figlio dilaniato - non solo fisicamente, ma soprattutto esistenzialmente -
da una ferita incurabile e conseguentemente ridotto in uno stato di
spaventevole agitazione.
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