30 dic 2015

5.3.3.1 Götterdämmerung: Atto II – Scena III: la pagliacciata di Hagen


Nel grand-opéra che Wagner aveva sbozzato nel 1848 - la Siegfrieds Tod - c’erano tre momenti che prevedevano interventi di masse corali, come richiedeva il capitolato tecnico di quel genere di spettacolo, e precisamente: l’arrivo delle Valkirie presso Brünnhilde nella scena finale del primo atto (8 voci femminili); poi questa terza scena dell’atto secondo, con il coro maschile dei vassalli ghibicunghi; infine il coro maschile che doveva accompagnare il corteo funebre di Siegfried, nell’atto terzo. Quest’ultimo coro fu espunto fin da subito (evidentemente Wagner già aveva pensato al grande affresco strumentale) e non compare nel libretto del 1848. Quello delle Valchirie (si dice fosse la prima idea musicale balenata in testa a Wagner per questo soggetto) venne naturalmente a far parte della prima giornata del Ring e qui in Götterdämmerung fu sostituito dal ben più drammatico incontro-scontro di Brünnhilde con la sola Waltraute.

Invece rimase al suo posto il coro dei vassalli ghibicunghi che occupa gran parte della terza scena. La quale è francamente di livello estetico discutibile, forse pure inferiore ad altre pagine simili della produzione operistica (Rienzi, Holländer, Tannhäuser e Lohengrin) del Wagner pre-rivoluzione (quello della Siegfrieds Tod) e quindi poco coerente con ciò che il Wagner post-rivoluzione (quello del Ring) andava mettendo in pratica.

Si è già ipotizzata la ragione più plausibile che possa spiegare questa (solo apparente?) contraddizione: l’essere Wagner rimasto prigioniero della trama immaginata nel 1848 e impossibilitato di fatto a stravolgerla, con la conseguente decisione di lasciare questa scena al suo posto e senza sostanziali modifiche, cercando però di presentarla come un atto d’accusa contro quel degrado dell’arte musicale rappresentato ai suoi occhi proprio dal GrandOpéra di stampo meyerbeeriano (qui impersonato dall’inciviltà dei Ghibicunghi). Insomma, una gran pagliacciata organizzata e diretta da un impresario spregevole e senza scrupoli (qui impersonato dal bieco Hagen) che dovrebbe servire - momentaneo sacrificio - allo spettatore per provare sulla sua pelle la volgarità della moda imperante, in palese contrasto con la nobiltà del nuovo corso wagneriano, come emersa fin dal preludio del Rheingold, e che tornerà presto a caratterizzare le conclusive vicende del Ring.

Ora, dato che una festa di nozze, per quanto sgangherata e primitiva, mal si presterebbe a far da scenario per comportamenti (e relative espressioni musicali) di natura truculenta e volgare, ecco che Wagner prende al volo l’opportunità offertagli dalla contorta strategia di Hagen. Strategia che comporta che i Ghibicunghi - ed in particolare i guerrieri (vassalli) - invece che per una festa nuziale, vengano chiamati a raccolta per fronteggiare un incombente pericolo. Ma perché mai si dovrebbe nascondere un pericolo nell’imminente arrivo del Re e della sua bella e giovane sposa?

In realtà Hagen vuole raccogliere attorno a sé il popolo affinchè gli serva da testimone non già di un matrimonio, ma di un autentico putiferio, quello che lui dà per certo debba scoppiare di lì a poco (quando Brünnhilde scoprirà l’anello al dito di Siegfried) e dal quale conta di uscire lui, appunto, con quell’anello al dito!   

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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